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ragionamento settimo 161


Tolomeo, Seneca da Aulogelio, Tesalo da Galieno, Ermagora da Cicerone, Cicerone da Salustio, Ieronimo da Ruffino, Ruffino da Donato, Donato da Prospero».

Gozzo. Il mio trebbiáno, che ve ne pare?

Poeta. Che di’ tu di trebbiáno?

Gozzo. Favello di quel che io m’intendo: cotesto libro non mi canta nell’orecchia.

Poeta. Questo è il preambulo; tu udirai tosto il fiorentin poema.

Gozzo. Se voi non mutate verso, e’ fia bene andare alla volta del rinfrescatoio, ché qua non ci posso badar tanto.

Poeta. Ecco alla risoluzione. «Il magno Alessandro non avrebbe oggi gran nome, se di lui non scriveva Quinto Curzio. Che sarebbe stato Ulisse, senza Omero? Alcibiade non era nulla, se Senofonte non ci metteva mano; e se Chilon filosofo non fosse stato al mondo, la fama di Ciro non si ricordava; Pirro re de’ piroti non poteva passar la banca per uomo da qualcosa, se non s’impacciava del fatto suo Ermicle istoriografo. Tito Livio fece bene a scriver le Deche per amor di Scipione Africano. Che dirò io di Traiano? Che non sarebbe stato nulla, se l’amico suo e famoso Plutarco non ci dava di becco. Che si sarebbe saputo di Cesare, senza Lucano? i dodici Cesari, senza Svetonio? il popolo ebreo, senza Iosefo?».

Gozzo. Se non fosse Valdarno, il trebbiáno, che avete bevuto, non sarebbe stato alla mia taverna. Serrate cotesto libro e andiancene, ché ciò che voi dite è gettato via intorno a Gozzo che non sa per lettera.

Poeta. Aspetta, ché io voglio entrar nel mezzo, poi che tu non mi vuoi ascoltar nel principio.

Gozzo. Non ritornate piú su quei gran maestri alti alti; andatemi come la porcellana, se volete che io intenda.

Poeta. Ecco fatto. «Lascia star quella fanciulla che tu vagheggi, perché tu hai preso un sonaglio per un’anguinaia; perché la ti riuscirá alle strette come le mezzine dall’Impruneta e avverratti come a’ zufoli di montagna».

Gozzo. Seguitate, ché io intendo.