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124 i marmi - parte prima


Varlungo. Ecco il mio:

     Queste lagrime spargo e questi fiori,
signor, all’onorata vostra tomba,
poscia che ’n me non è si chiara tromba
ch’ardisca risonar vostri alti onori.
     Spargeste al mondo sì soavi odori
d’eterni frutti ch’ogni stil rimbomba
del gran Medico, e quindi qual colomba
volaste al ciel, del mortal velo fuori:
     onde quel successor degno vedete
che virtú abbraccia e ’l vizio calca e atterra,
mentre l'orme de’ vostri passi serba.
     Giusta cagion ch’ambi beati sète:
l’un che ’l ciel gode, l’altro che fa ’n terra
frutti maturi ne l’etate acerba.

Nuto. Piacemi veramente, e l’invenzione è bella, a lodare il duca Alessandro in morte e Cosimo in vita. Voi direte poi che ’l Varlungo non ha ingegno! Che di’, Visino? Tu dormi?

Visino. Sonniferar si dimanda, quando l’uomo tien chiusi gli occhi e ascolta e viene a udire quando una parola e quando un’altra. Io vo’ dire, poi che ogn’un dice, anch’io una canzona da ballo, che io mi feci comporre il primo dì di maggio, e la cantai in quello che io piantavo il maio all’uscio della mia inamorata.

Niccolò. La stava fresca a inamoráti!

Visino. Meglio che a voi; or su lasciatemi dire.

Niccolò. Di’, via, acciò che si dica stasera d’ogni fatta composizione.

Visino.   Nel vago, dolce, dilettoso maggio

cantian, pastori,
a piè di questo faggio
nostri felici amori,
5 ché ’l dio Pan porge orecchia al nostro canto.