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ragionamento settimo 119


DELL’ORSILAGO

sopra il buon esser di Livorno

al vescovo de’ Marzi.

     Monsignor mio, se voi sapeste bene
l’affezion ch’io vi porto quanta sia,
3avereste pietá delle mie pene
     e con trovar qualche coperta via
mi trarreste da l’aer di Livorno,
6letto di febri e nido di moria.
     Potrei pur ancor io starvi d’intorno
e servir nella corte il signor duca,
9e non star qui come un bel perdigiorno.
     Deh, cavatemi fuor di questa buca,
di cui m’ha il tanfo in tal modo conquiso
12che ho fatto proprio un vólto di bezuca;
     e quel che me da me stesso ha diviso
è, monsignor, veder che in questo loco
15non c’è viso che viso abbia di viso.
     Per questo mi sto in casa intorno al foco,
ora a questo scrivendo ed ora a quello
18le mie disgrazie e di fortuna il gioco
     che m’ha condotto in questo Mongibello
che manda fuor piú velenoso odore
21che di cloaca o puzzolente avello.
     Gli è il vangel quel che io dico, monsignore;
e chi qual voi non lo credessi, vegni
24a starci ed uscirá forsi d’errore.
     Gli uomin qui si fan verdi, gialli e pregni,
e chiaman questo mal la livornese,
27che guasta i corpi e molto piú gl’ingegni.
     S’Ippocrate, Avicenna e ’l Pergamese,
com’io, fosser qui stati a medicare,
30arien forsi imparato alle lor spese.
     Mosè ci fu; ma, quando vidde il mare,
fuggissi, come nel Burchiello è scritto,
33lassandoci una legge singulare;