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ragionamento settimo 117


Cosí dich’io. Ella poi tutta lieta
risponde sospirando:
     47 — Deh, non t’incresca amar, Selvaggio mio;
ché poi ch’in cetra e’ n zampogna sonando
vincesti il capro al natal di Dameta,
50onde Montan di duol quasi morio,
tosto n’andrá il quart’anno,
s’al contar non m’inganno;
pensa qual eri allor, tal era anch’io:
tanto caro mi sei che men gradita
55m’è di te l’alma e la mia propria vita. —
     Amor, poi che si tace la mia donna,
quivi senz’arco e strali
58sceso per confermar il dolce affetto,
le vola intorno e salta, aprendo l’ali;
vago or riluce in la candida gonna,
61or tra i bei crin, or sovra il casto petto:
d’un diletto gentile,
cui presso ogni altro è vile,
n’empie scherzando ignudo e pargoletto;
indi tacitamente meco ascolta
66lei c’ha la lingua in tai note giá sciolta:
     — Tirsi ed Elpin, pastori audaci e forti
e di etá giovanetti,
69ambi leggiadri e belli senza menda,
Tirsi d’armenti, Elpin d’agni e capretti
pastor, coi capei biondi ambi e ritorti
72ed ambi pronti a cantar a vicenda,
sprezzano ogni fatica
per farmi a loro amica:
ma nullo fia che del suo amor m’incenda;
ch’io, Selvaggio, per te cureria poco,
77non Tirsi o Elpino, ma Narciso e Croco. —
  — E me — rispond’io — Nisa ancor ritrova
e l’Alba e l’una e l’altra
80mi chiede e prega che di sé mi caglia,
giovanette ambe, ogn’una bella e scaltra
e non mai stanche di ballar a prova;
83Nisa, sanguigna, di color agguaglia