Cosí dich’io. Ella poi tutta lieta
risponde sospirando: 47 — Deh, non t’incresca amar, Selvaggio mio;
ché poi ch’in cetra e’ n zampogna sonando
vincesti il capro al natal di Dameta, 50onde Montan di duol quasi morio,
tosto n’andrá il quart’anno,
s’al contar non m’inganno;
pensa qual eri allor, tal era anch’io:
tanto caro mi sei che men gradita 55m’è di te l’alma e la mia propria vita. —
Amor, poi che si tace la mia donna,
quivi senz’arco e strali 58sceso per confermar il dolce affetto,
le vola intorno e salta, aprendo l’ali;
vago or riluce in la candida gonna, 61or tra i bei crin, or sovra il casto petto:
d’un diletto gentile,
cui presso ogni altro è vile,
n’empie scherzando ignudo e pargoletto;
indi tacitamente meco ascolta 66lei c’ha la lingua in tai note giá sciolta:
— Tirsi ed Elpin, pastori audaci e forti
e di etá giovanetti, 69ambi leggiadri e belli senza menda,
Tirsi d’armenti, Elpin d’agni e capretti
pastor, coi capei biondi ambi e ritorti 72ed ambi pronti a cantar a vicenda,
sprezzano ogni fatica
per farmi a loro amica:
ma nullo fia che del suo amor m’incenda;
ch’io, Selvaggio, per te cureria poco, 77non Tirsi o Elpino, ma Narciso e Croco. —
— E me — rispond’io — Nisa ancor ritrova
e l’Alba e l’una e l’altra 80mi chiede e prega che di sé mi caglia,
giovanette ambe, ogn’una bella e scaltra
e non mai stanche di ballar a prova; 83Nisa, sanguigna, di color agguaglia