6quando la notte è piú queta e sicura,
allor l’accorta e bella
mia vaga pastorella
a la gelosa sua madre si fura
e dietro agli orti di Mosso soletta 11a piè d’un lauro corcasi e m’aspetta.
Ed io, che tanto a me stesso son caro
quanto a lei son vicino, 14o la rimiro o in grembo le soggiorno;
né prima dall’ovil torce il camino
l’iniqua mia matrigna o ’l padre avaro 17che annoveran due fiate il gregge il giorno,
questa i capretti e quelli
i mansueti agnelli,
quando di mandra il levo e quando il torno,
che giunto son a lei veloce e lève 22ov’ella in grembo lieta mi riceve.
Quivi al coll’io, d’ogni altra cura sciolto,
l’un braccio allor le cingo 25sí che la man le scherza in seno ascosa,
con l’altra il bel suo fianco palpo e stringo
e lei che, alzando dolcemente il vólto, 28su la mia destra spalla il capo posa
e ’n le braccia mi chiude
sovra il gomito ignude,
bacio negli occhi e ’ n la fronte amorosa,
e, con parole poi ch’Amor m’inspira, 33cosí le dico; ella m’ascolta e mira:
— Ginevra mia, dolce mio ben, che sola,
ov’io sia in poggio o ’n riva, 36mi stai nel cor, oggi è la quarta state,
poi che, ballando al crotalo, alla piva,
vincesti il specchio a le nozze di Iola, 39di che l’Alba ne pianse piú fiate;
tu fanciulletta allora
eri ed io tal ch’ancóra
quasi non sapea gir a la cittate:
possa morir or qui, s’a me non sei 44piú cara che la luce agli occhi miei. —