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ragionamento settimo 111


5.

Varlungo.   Però con umil vena e basso stile,
Nuto. (lira scordata, um, um, um, e tinta)
Varlungo. segnerò i trofei del sangue vile
del cerretan bugiardo che ha giá vinta
la setta de’ furfanti, e del porcile
tratto l’origin sua d’infamia cinta.
Nuto. Udite adunque della razza trista,
che con dire e mal far nome s’acquista;
Varlungo.   però l’orecchio saggio dia perdóno
allo stil rozzo, al discordevol suono.

Stradino. Quella corda m’ha fatto il gran piacere a rompersi, perché non mi piaceva questo tuo suono e manco le rime: voi eri entrati in un pecoreccio e in un lecceto che in tutta notte non ne saresti usciti. E poi, di chi cantavi voi? D’un ciabattino che la sua vita non vale un lupino. Lasciate stare simil genie, ché il meglio de’ fatti loro è non ne favellare. Ecci nessun bel sonetto fra voi?

Niccolò. Io qui n’ho uno che m’è stato mandato da Vinegia, perché vo adunando rime e ne voglio fare un libro e stamparlo, di diversi, con altre prose nuove e belle. Oh che bel libro voglio io che sia! in brava carta, con margini, in bel carattere, e correggere e ricorregger ben bene, acciò che si vegga un bel libro.

Visino. Voi state fresco! Come entrate in cotesto umore? Non vi sará egli ristampato súbito in minor forma, con tanto margine che a pena si potrá legare il libro e tagliare, corretto poi per qualche ignorante, che voi vi dispererete? E saranno le migliara di quegli che si venderanno, perché saranno a miglior mercato; e poi, per uno che voi ne stampiate qui a Firenze, mille ve ne saranno fatti di fuori.

Niccolò. Basta che si vegghino la prima volta.

Visino. I libri si consumano e si ristampano e vanno poi a benifizio di natura.