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LO SVEGLIATO ACADEMICO PEREGRINO

ai lettori.

Mille volte, uscito che io son del sonno, il piú delle notti, mi sto con la fantasia a chimerizzar nel letto, non solo sopra i fatti miei, ma sopra quei degli altri ancóra; non giá in quella maniera che fanno i plebei né in quella forma che pensan i letterati, ma da capriccioso cervello. Deh, udite in che modo. Prima voglio discostarmi con una digressione. Quando Luciano armeggiava, ei faceva castelli in aria; quando Platone s’inalberava, poneva monte sopra monte; e quando Ovidio si stillava il cervello, egli schizzava di nuovi mondi e formava infino agli uomini di sassi. Io, che non sono nessun di questi cervelli sani, o intelletti busi, mi lambicco in un altro modo la memoria. Eccomi a casa: io volo in aria, sopra una cittá, e mi credo esser diventato un uccellaccio grande grande che vegga con una sottil vista ogni cosa che vi si fa dentro, e scuopro in un batter d’occhio tutta la coperta di sopra; onde a un medesimo tempo io veggo ciascun uomo e donna far diversi effetti: chi nella sua casa piange, chi ride, chi partorisce, chi genera, chi legge, chi scrive, chi mangia, chi vòta; uno grida con la famiglia, un altro si solazza; eccoti che quello cade per la fame in casa per terra, e quell’altro per troppo mangiar vomita. Oh che gran diversitá veggo io in una sola cittá e a un tempo medesimo! Poi ne vo d’una in un’altra terra e trovo abiti diversi, diversi ragionamenti e variati; verbi grazia: in Napoli i signori hanno per usanza di cavalcare e pigliare la sera il fresco, quando quei caldi gli assaltano; in Roma si stanno per le fresche vigne e per le posticoie fontane a ricriarsi; a Vinegia in pulitissima barca se ne vanno per i canali freschi e per le salate onde fuori della cittá,