più don Chisciotte, smonto dal leardo, e seduto appiè di un albero cominciò a ragionar tra sè a questo modo: “Sappiamo ora, fratello Sancio, per dove va vossignoria? Va forse in cerca dell’asino smarrito? No certamente: e che va dunque a cercare? Vado cercando, come se fosse cosa da nulla, una principessa, e in lei il sole della beltà, anzi tutto il cielo unito in lei sola. E dove pensi trovar questo che tu dici, o Sancio? Dove? nella gran città del Toboso. Va bene; ma da parte di chi vai tu a fare questa ricerca? Da parte del famoso cavaliere don Chisciotte della Mancia che disfà torti, dà da mangiare a chi ha sete e dà da bere a chi ha fame: tutto questo va a maraviglia. E sai tu, Sancio, dove sia la casa di costei? Il mio padrone dice che dee soggiornare in reali palazzi o in superbi castelli. Ma l’hai tu vista una qualche volta? Oibò: nè io nè il mio padrone l’abbiamo veduta mai. E ti sembra prudente e ben consigliata questa tua impresa? Se quei del Toboso venissero a sapere che tu sei qua con intenzione di andare a mettere sossopra le loro principesse e ad inquietare le loro dame non potrebbero anche romperti le costole a furia di bastonate e non lasciarti osso sano? In verità che ne avrebbero tutta la ragione, quando non riflettessero che io sono mandato, e che ambasciatore non porta pena: non ti fidare no, Sancio, di questo, perchè la gente mancega è buona e onorata ma molto collerica, non soffre torti da chi che sia, e si sa levare le mosche dal naso: viva Dio, che se arriva ad accorgersi di qualche cosa, guai a te, Sancio! guarda la gamba: oh in somma