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capitolo viii | 77 |
sciotte: vale assai più il far rivivere uno ch’è morto. — Vossignoria è in trappola, disse Sancio: dunque chi risuscita i morti, ridona la vista ai ciechi, drizza gli zoppi e risana gl’infermi, e chi ha dinanzi al sepolcro lampade che ardono, e la cappella piena di gente divota che adora ginocchioni le sue reliquie, si meriterà e a questo mondo e nell’altro una fama molto maggiore di quella che lasciarono dietro a sè quanti imperatori pagani e cavalieri erranti mai vissero. — Confesso egualmente che questo è vero, rispose don Chisciotte. — Per conseguenza, Sancio riprese a dire, questa fama, queste grazie, queste prerogative, come si dice, sono proprie dei corpi e delle reliquie dei santi che con approvazione e licenza della nostra santa madre Chiesa hanno a sè innanzi lampade, candele, grucce, vesti da morto, pitture, capelliera, occhi e gambe coi quali accrescono la divozione e aggrandiscono la cristiana loro fama. Portano i re sulle loro spalle i corpi dei santi o baciano le loro reliquie o i pezzetti delle loro ossa, e con questi arricchiscono i loro oratorii e gli altari più sontuosi.
— E che vuoi tu che io inferisca da quanto vai dicendo, o Sancio? soggiunse don Chisciotte. — Voglio che vossignoria conosca, continuò Sancio, che a noi sarebbe meglio metterci per la strada di diventare santi, e così per la più corta otterremmo quella fama cui vossignoria pretende; ed avverta che ieri o ieraltro (chè non essendo da molto tempo si può parlare con questi termini) beatificarono due frati agli Scalzi, e adesso si tiene per gran ventura il poter toccare e baciare le catene dalle quali il loro corpo era cinto e tormentato, e sono in molto più alta venerazione di