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capitolo vii 67

alta voce gli disse: — Oh fiore della errante cavalleria! oh luce risplendente delle armi! oh specchio della nazione spagnuola! piaccia all’onnipossente Iddio che la persona o le persone che frapporranno ostacolo o sturberanno la tua terza uscita in campagna, non trovino nel labirinto dei loro desiderii la via di uscirne, nè giungano mai al compimento delle loro brame„. E voltosi alla serva le disse: — Potete, signora serva, tralasciare di recitar l’orazione di sant’Apollonia, poichè è determinazione precisa delle costellazioni che il signor don Chisciotte torni a metter in esecuzione i suoi alti e nuovi divisamenti, ed io aggraverei soverchiamente la mia coscienza se non intimassi a questo cavaliere, e non mi facessi a persuaderlo di non tenere più a lungo neghittosa e inceppata la forza del valoroso suo braccio e la eccellenza dell’animo suo valentissimo, mentre pregiudicherebbe, ritardando, il drizzamento dei torti, la difesa degli orfani, l’onore delle donzelle, il favore delle vedove, il sostegno delle maritate, ed altre cose di simile natura che toccano, appartengono, dipendono e vanno annesse all’ordine della errante cavalleria. Orsù, signor don Chisciotte mio bello e bravo, pongasi la signoria vostra nella grandezza della sua carriera oggi piuttosto che dimani, e se qualcuno vi fosse che non lo volesse seguire, eccomi qua a supplire colla mia persona e con ogni mio avere; poichè terrei per ventura mia felicissima se necessario si rendesse che io avessi a servire la magnificenza vostra anche nella qualità di scudiere„.

Don Chisciotte a tal passo si volse a Sancio e gli disse: — Non te l’ho io detto che aveano a sopravanzarmi gli scudieri? Guarda un poco la persona che mi si offre, e vedrai ch’è l’inaudito baccelliere Sansone Carrasco, perpetuo trastullo e rallegratore dei cortili delle scuole salamanticesi, sano di sua persona, agile di sue membra, taciturno, e che sa tollerare fame e sete, e posseditore delle qualità tutte che si richiedono ad esser buono scudiere di cavaliere errante. Non sia però mai che io per compiacere a me stesso rovesci la colonna delle lettere, o rompa il vaso delle scienze, o strappi la palma eminente delle buone e liberali arti: rimangasi in patria sua il novello Sansone, e col dar lustro a lei onori nel tempo stesso la canizie dei suoi antenati, che io mi adatterò a qualsivoglia scudiere, giacchè Sancio non si degna più di venire con me.— Sì che mi degno, rispose Sancio intenerito e con qualche lagrima agli occhi, e seguitò a questo modo: — Non sarà mai che si dica, o signore, per colpa mia, pane mangiato e compagnia disfatta; io non discendo da razza di gente ingrata, e tutto il mondo e i miei paesani spezialmente sanno di che razza furono i Panza, e qual è la