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capitolo lxxiii 639

niente, e ch’ella lo stava aspettando come l’acqua di maggio: e poi acchiappandolo da un lato della cintura, e sua moglie per la mano, e Sancetta tirando dietro a sè l’asino, se ne andarono a casa loro, lasciando don Chisciotte nella sua in compagnia della nipote, della serva, del curato e del baccelliere.

Don Chisciotte, senza aspettare termini, nè ore, si appartò nello stesso punto col baccelliere e col curato, e confessò loro alle brevi la sua disfatta e l’obbligo in cui era di non uscire più, durante un anno, dal suo paese; il che avrebbe eseguito con rigore, nè sarebbe uscito per un minuto solo a fine di non trasgredire alla puntualità dovutasi all’ordine della errante cavalleria. Raccontò poi che aveva divisato di farsi, durante quell’anno, pastore, e di trattenersi nella solitudine delle campagne, dove avrebbe potuto a briglia sciolta dare alimento ai suoi amorosi pensieri, esercitandosi in pastorecci e virtuosi esercizii. Supplicò in fine i suoi due amici, che se non avessero avuto grandi faccende, nè gravi impedimenti per negozii di maggiore importanza, volessero diventare compagni suoi, e ch’egli avrebbe comperato e pecore e bestiame e quanto occorreva, ed avrebbe loro imposti nomi pastorali che vi starebbero come dipinti: chè già aveva pensato a tutto. Il curato gli disse: — Vorrei sapere quali saranno i nostri nomi.„ Rispose don Chisciotte che aveva a sè imposto il nome di Chisciottizzo pastore, al dottore quello di Carrascone, al curato quello di Curatambro, e a Sancio Panza quello di pastore Panzino. Ognuno della casa stupì della nuova pazzia di don Chisciotte; ma perchè non lasciasse un’altra volta il paese, nè se ne tornasse alle sue cavallerie, e sperando di poterlo medicare durante l’anno, aderirono al suo nuovo progetto, tennero per saggia la sua determinazione e si offrirono per compagni suoi nel nuovo esercizio. — E tanto più volentieri, disse Sansone Carrasco, che come sa tutto il mondo, io sono poeta celeberrimo, e potrò ad ogni istante comporre versi pastorali e cortigiani, o come mi verrà meglio, purchè non meniamo vita oziosa tra quelle catapecchie che dovremo abitare: ma poi importerà molto, signori miei, che ciascuno di noi elegga il nome della pastora che sarà da celebrarsi nei nostri componimenti, e che non si lasci arbore, per duro che sia, senzachè porti inciso il suo nome, com’è uso e costume di tutti gl’innamorati pastorelli. — Stupenda è questa osservazione, disse don Chisciotte, ma a me non accade eleggere il nome della mia pastora, mentre voglio conservare quello della senza pari Dulcinea del Toboso, gloria di queste spiagge, ornamento di questi prati, sostegno della bellezza, modello della grazia, soggetto in somma su cui potrebbe fondarsi bene ogni