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626 | don chisciotte |
Presero alloggio all’osteria, che don Chisciotte riconobbe per tale e non per castello circondato di fosse, di torri, di rastelli, con ponte levatoio; mentre dopo la sua ultima disfatta cominciava ad essere un poco più ragionevole, come ora si dirà. Si posero in una sala terrena addobbata, in vece di paramenti, con cuoi di sargie vecchie dipinte, come si usa tra i contadini. In una di esse era figurato da pessima mano il ratto di Elena, quando il perfido ospite la tolse a Menelao, ed in altra vedeasi la storia di Didone e di Enea, ella su un’alta torre in atto di far segno con un pannolino all’ospite fuggitivo, ed egli che andava navigando per mare su una fregata o brigantino. Notò Sancio nelle due istorie ch’Elena non andava di malavoglia, perchè rideva di soppiatto e maliziosamente; ma che la bella Didone sgorgava dagli occhi lagrime grosse quanto una noce. Vedendo ciò don Chisciotte, disse: — Furono sventuratissime ambedue queste donne per non essere nate nella età nostra, ed io disgraziato sopra tutti per non avere nella età loro veduto la luce del giorno: chè se io fossi stato a quei tempi, nè arsa sarebbe Troia, nè distrutta Cartagine, e solo che io avessi ammazzato Paride, sarebbersi ovviate tante disgrazie. — Io mi farò turco, disse Sancio, se non accadrà fra alquanti anni che in ogni bettola, in ogni osteria, in ogni bottega di barbiere si avrà a vedere dipinta l’istoria delle nostre prodezze; ma vorrei che la dipingessero pittori più esperti di colui che ha sgorbiate queste. — Hai ragione, o Sancio, disse don Chisciotte, perchè questo pittore è come Orbanescia di Ubeda, il quale interrogato che cosa dipingesse, rispondeva: Quello che verrà fuori; e se dipingeva un gallo vi scriveva di sotto: Questo è un gallo; affinchè qualcuno non lo credesse una volpe. Ed a costui sembrami, o Sancio, che assomigliare si possa lo scrittore che mise in luce la storia del nuovo don Chisciotte, in cui è gettato giù tutto quello che dalla penna usciva, senza criterio; e si potrebbe anche dire ch’egli abbia fatto come un poeta che trovavasi alla Corte negli anni andati, chiamato Maulone, il quale rispondeva improvvisando a quante cose gli domandavano; e chiedendogli un tale che cosa significasse Deum de Deo? rispose: Dia dove dia. Ma lasciando questo da parte, dimmi se fai pensiero, o Sancio, di affibbiarti un’altra frustatura stanotte, e se vuoi che sia piuttosto sotto il tetto che a cielo scoperto. — Per dinci, Sancio rispose, che per quello che io penso di darmi, tanto fa che sia in casa come in campagna; per altro vorrei che fosse tra gli alberi, mentre mi pare che mi accompagnino e mi aiutino mirabilmente a sopportare tanta fatica. — Non ha da essere per questa notte nè l’uno, nè l’altro,