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capitolo lxxi 625

violenza con cui frustava; ed una volta con voce sonora dando una fortissima scudisciata ad un faggio, disse: — Qua morrai, Sansone, e quanti sono con te.„ All’udire questo doglioso accento, e al colpo della strepitosa percossa volò don Chisciotte, e prendendo il torto capestro che serviva a Sancio per istrumento di disciplina, gli disse: — Non permetta la sorte, o Sancio amico, che per soddisfar me, tu perda una vita che deve servire per sostentare la tua moglie e i tuoi figliuoli; aspetti pure Dulcinea migliore congiuntura, chè io mi conterrò nei limiti di una propinqua speranza, e attenderò che nuove forze tu riacquisti, perchè abbia termine questo negozio con soddisfazione di tutti noi. — Poichè così piace a vossignoria, rispose Sancio, così sia alla buon’ora, e intanto mi getti il suo ferraiuolo sopra le spalle, chè io sto sudando e non vorrei raffreddarmi, chè questo è il risico in cui incappano tutti i nuovi disciplinati.„ Don Chisciotte secondò le preghiere di Sancio, e restando in farsetto, lo coprì, ed egli si addormentò sino a tanto che lo destò il sole, e poi continuarono il loro viaggio, il quale per allora ebbe fine in un paese ch’era di là lontano tre leghe.

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