di mille colori dipinti. Sarà nostro alito l’aria chiara e pura; saranno luce la luna e le stelle a dispetto dell’oscurità della notte; avremo allegrezza nel gaudio e nel pianto, e c’inspirerà Apollo i versi e gli amorosi concetti coi quali potremo renderci famosi non pure nei secoli presenti, ma nei futuri. — Perdinci, rispose Sancio, che questa maniera di vita sarebbe uno zucchero, e mi andrebbe proprio proprio a sangue; e scommetterei che il baccelliere Carrasco e maestro Niccolò, barbiere, non l’avranno saputo appena, che verrà loro la frega di seguitarla e di farsi eglino ancora pastori con noi; e chi sa che non venga il grillo anche al signor curato di entrare nel branco, ch’egli è uomo di allegro umore e molto amico di darsi bel tempo. — Tu hai detto benissimo, soggiunse don Chisciotte, e il baccelliere Sansone Carrasco se entrerà nel pastorale grembo (chè vi entrerà senza dubbio), potremo chiamarlo il pastore Sansonino ovvero il pastore Carrascone. Niccolò barbiere potrà intitolarsi Niccoloso, come già l’antico Boscano si chiamò Nemoroso: non so che nome daremo al curato, se non fosse alcuno derivativo dal suo, appellandolo il pastore Curatambro. In riguardo alle pastorelle delle quali dovremo essere seguaci, potremo, come in una cesta di pere, scegliere i loro nomi: e giacchè quello della mia signora tanto quadra a pastorella come a principessa, non occorre che io vada a dicervellarmi per cercarne altro che meglio le si convenga: tu, o Sancio, porrai poi alla tua il nome che più ti andrà a genio. — Io fo conto, disse Sancio, di non metterle altri nomi che quello di Teresona, che calzerà bene colla sua grassezza; e molto più che celebrandola io nei miei versi, verrò a scoprire i miei casti desiderii, non andando a cercare miglior pane che di grano per le case altrui: nè sarà poi bene che il curato tenga pastora, come colui che ci deve dar buon esempio: e se il baccelliere vorrà averne una, ci pensi egli. — Poffare il mondo! disse don Chisciotte, che vita abbiamo a condurre noi, Sancio amico! Quante zampogne ci hanno da rallegrare gli orecchi, quante pive zamorane, quanti tamburini, quante sonagliere, quanti ribecchini! Pensa poi se tra questa diversità di musica ci sarà frammischiata quella degli alboghi! Oh si avranno tra noi quasi tutti i pastorali strumenti. — Che cosa sono questi alboghi? disse Sancio, chè io non li ho sentiti mai a nominare, nè li ho visti mai in vita mia. — Gli alboghi, rispose don Chisciotte, sono certe piastre come di candelliere d’ottone, che dando una contro l’altra, per lo vôto e vano mandano suono se non molto grato ed armonico, almeno che non dispiace e si accorda colla rusticità della piva e del tamburino. Albogo è vocabolo moresco, come lo