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capitolo lxvii | 595 |
Carrasco: opere tutte degl’incantatori che mi perseguitano. Ma dimmi un poco: chiedesti tu a questo tuo Tosilo che cosa sia accaduto di Altisidora? se pianse per la mia assenza, se ha dati all’obblio gl’innamorati pensieri che, me presente, la tormentavano? — Oh i pensieri che io aveva in testa, disse Sancio, non mi lasciarono tempo d’informarmi di queste inezie; e poi per l’anima mia mi pare, signor mio, che adesso dovrebbe vossignoria occuparsi di altro che di inezie amorose. — Tu dèi riflettere, o Sancio, rispose don Chisciotte, che corre gran differenza dalle opere che si fanno per amore a quelle che provengono da gratitudine: e può darsi benissimo che un cavaliere sia disamorato; ma, parlando con istretto rigore, egli non può essere mai ingrato e sconoscente. Altisidora, per quanto si è veduto, mi volle bene: mi donò le tre cuffie che tu sai, pianse alla mia partenza, mi maledisse, mi vituperò, e a dispetto del pudore mandò pubblici lamenti: segni tutti che mi adorava; giacchè gli sdegni degli amanti sogliono finire in maledizioni. Io non mi sono trovato in caso, nè di darle speranze, nè di offrirle tesori, perchè le prime furono da me serbate a Dulcinea, e i tesori dei cavalieri erranti sono come quelli dei folletti, apparenti cioè e fallaci: e mi è permesso unicamente mostrare il pegno che da lei tengo, senza pregiudizio però di quello che mi venne da Dulcinea. Ah Dulcinea! tu sei il bersaglio delle offese di costui che in vituperevole guisa è sempre restio a volersi frustare e a castigare queste sue carni, che possa io vederle divorate dai lupi, poichè vogliono serbarsi a pascolo dei vermi piuttostochè adoperarsi a conforto di una sventurata! — Signor mio, disse Sancio, se debbo confessare la verità, io non mi posso mettere in testa che le frustate delle mie natiche abbiano che fare con i disincanti degl’incantati; ch’è come se si dicesse: Se ti duole il capo, ungiti le ginocchia. Vorrei giurare che in quante storie vossignoria ha letto, e che trattano della cavalleria errante, non si è mai visto alcuno disincantato a prezzo di frustate: ma comunque la cosa sia, io mi frusterò, quando però me ne verrà la voglia, e ne abbia opportunità. — Lo faccia il cielo, rispose don Chisciotte, e ti presti egli favore affinchè tu ti ravvegga e conosca l’obbligo che ti corre di aiutare la mia signora, ch’è anche tua, perchè tu sei mio.„
Andavano con questi ragionamenti seguitando il loro viaggio, quando giunsero al sito medesimo dove erano stati già scompigliati dai tori. Lo riconobbe don Chisciotte, e disse a Sancio: — Il prato è questo dove noi c’incontrammo colle bizzarre pastorelle e coi pastori galanti che volevano rinnovare e imitare la pastorale Arcadia: