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capitolo lxiii 569

il vicerè. — Perchè, rispose il generale, contro ogni legge e in offesa di ogni diritto e costumanza di guerra furono uccisi due dei migliori soldati che fossero su queste galere; ed io ho giurato d’impiccare quanti ne prendessi, e specialmente l’arraez del brigantino.„ In ciò dire accennò il prigioniero, che aveva già legate le mani, e con la fune alla gola stava aspettando la morte. Lo guardò il vicerè, e scorgendolo sì bello, sì ben composto e sì rassegnato, che gli serviva per lettera di raccomandazione la sua leggiadria, gli venne voglia di fargli perdonare la morte. Gli dimandò tosto: — Dimmi, arraez, sei turco tu di nazione o moro o rinnegato?„ Cui rispose il giovane in lingua pure castigliana: — Nè sono turco di nazione, nè moro, nè rinnegato. — Dunque chi sei? replicò il vicerè. — Una donna cristiana, rispose il giovane. — Donna e cristiana in tale abito e in tale cimento? soggiunse il vicerè, è cosa più da maravigliarsi che da credersi. — Sospendete, replicò il giovane, l’esecuzione della mia sentenza finchè vi dia conto di me, chè già non perderete per questo gran tempo a disfogare la vostra vendetta.„ Quale sarebbe stato mai quel cuore di pietra che non si fosse intenerito a questi detti, o che non si fosse almeno invogliato di udire quello che l’infelice ed afflitto garzone voleva narrare? Il generale soggiunse che parlasse pure a sua voglia; ma che non isperasse di trovare perdono della conosciuta sua colpa. Ottenuta questa licenza, cominciò il giovane a dire: — Nata di genitori moreschi, io appartenni a quella sfortunata più che prudente nazione sulla quale piovve nei giorni nostri un mare di sciagure, e nella corrente dell’infortunio fui raccolta da due miei zii in Barberia. A nulla mi giovò l’asserire che io era cristiana, come in effetto lo sono, nè già per finzione o per apparenza, ma con vera ed intima credenza; nè vollero prestarmi fede gl’incaricati del nostro luttuoso esiglio, nè gli zii medesimi che piuttosto mi giudicarono menzognera e industriosa ad accattare quei ripieghi che potessero farmi rimanere nel mio paese naturale: di maniera che più colla forza che colla volontà mi strascinarono seco. Ebbi genitori savii e cristiani, succhiai col latte la fede cattolica, fui allevata nei buoni costumi, nè colla lingua, nè colle usanze diedi mai indizii di essere moresca. A pari passo di queste virtù (che io tengo per tali) crebbe la mia avvenenza, se ne ho alcuna, e tuttochè il mio vivere solitario e circospetto fosse mantenuto con rigore, ciò non tolse che non potesse vedermi un giovane cavaliere, detto don Gaspare Gregorio, primogenito di un signore che aveva la sua abitazione vicina alla mia. Ebbe il giovane occasione di vedermi e di parlarmi, restò acceso di me ed io non meno di lui; e troppo

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