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capitolo lix 531

pagnia, che non meno di lui mostravasi affezionato ai piedi ossia zampe di bue.

Durante la cena dimandò don Giovanni a don Chisciotte che nuove avesse della signora Dulcinea del Toboso; se si fosse maritata, se avesse partorito, se fosse gravida, o se stando nella sua integrità si ricordasse (gelosa custode dell’onestà e del decoro) delle amorose affezioni del signor don Chisciotte della Mancia. Cui rispos’egli: — Dulcinea è sempre intatta, e i miei pensieri più fermi che mai; ma la sua bellezza è ora trasformata in quella di brutta villana.„ E qui si fece a raccontare punto per punto l’incantamento della signora Dulcinea e quanto era successo nella grotta di Montèsino, col comando del savio Merlino per disincantarla, consistente nelle frustate che Sancio doveva darsi. Fu assai grande il piacere ch’ebbero i due gentiluomini udendo raccontare dal medesimo don Chisciotte gli strani successi della sua istoria, e rimasero tanto sorpresi de’ suoi spropositi quanto della elegante maniera con cui sapeva raccontarli. Ora lo teneano per saggio, ora per mentecatto, senza sapersi determinare qual grado gli potessero dare tra la saggezza e la pazzia. Terminò Sancio la sua cena, e lasciando briaco l’oste, passò nella stanza dove trovavasi il suo padrone, ed entrando disse: — Che io possa esser morto se l’autore di questo libro posseduto dalle vostre signorie non vuole che noi mangiamo insieme una buona pignatta di pane grattato: che mi dica mangiatore gliela perdono, ma ubbriaco no certamente. — Eppure vi chiama ubbriaco, disse don Geronimo, non mi ricordo precisamente in qual luogo: ma egli è certo che parla da maligno e da gran bugiardo per quanto posso capire dalla fisonomia del buon Sancio ch’è qua presente. — Si persuadano le signorie loro, disse Sancio, che il Sancio e il don Chisciotte di questa loro istoria debbono essere altre persone diverse da quelle delle quali parla Cide Hamete Ben-Engeli, e che siamo noi; il mio padrone ingegnoso, savio e innamorato, ed io semplice, grazioso e non mangione, nè ubbriaco. — Così credo anch’io, disse don Giovanni: e se fosse possibile si dovrebbe comandare che nessuno osasse trattare delle cose del gran don Chisciotte, da Cide Hamete, suo originario autore, in fuori; nel modo stesso che comandò Alessandro che nessuno ardisse di fare il suo ritratto, eccettuato Apelle. — Mi ritratti chi vuole, disse don Chisciotte, ma non mi maltratti; chè molte volte può la pazienza messa a cimento, degenerare in isdegno. — Non v’è ingiuria, disse don Giovanni, che si possa fare al signor don Chisciotte della quale non sappia egli vendicarsi, se non la ripara collo scudo della sua tolleranza; chè al parere mio è grande e forte.„