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502 | don chisciotte |
quello di conoscere che non deve importargli un fico di essere governatore, non dico solo di un’isola, ma nè anche di tutta la terra. E ciò posto, e baciando i piedi alle signorie vostre, e facendo come i ragazzi al giuoco, che dicono: Salta tu e dammelo tu; io do un salto dal governo, e me ne passo al servigio del mio signor don Chisciotte. È vero che anche con lui mangio il pane con disagio e con batticuore, ma finalmente poi mi cavo la fame; e quando sono sazio, tanto m’importa che sieno carote, come starne o pernici.„
Così terminò la diceria di Sancio, non senza paura di don Chisciotte che non desse in migliaia di spropositi: però, quando lo udì giunto al fine senza averne detti molti, ringraziò Dio. Il duca abbracciò Sancio, e gli disse che dispiacevagli sino all’anima che avesse rinunziato troppo presto al governo, ma che metterebbe ogni opera perchè gli venisse assegnato altro officio di minor conseguenza e di maggior lucro. Lo abbracciò anche la duchessa, e volle che si avesse ogni cura di lui, perchè tuttavia mostrava di essere malamente pesto e peggio macinato.