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cevi tu de’ tuoi buoni servigi! Perdonami, e invoca la fortuna nel miglior modo che sai, perchè ci cavi da tanto travaglio: e se sei da tanto, prometto e giuro che ti cingerò la testa con corona di alloro, sicchè parrai proprio un poeta laureato, e ti darò doppie le profende.„

In questa maniera lagnavasi Sancio Panza, e l’asino lo stava ascoltando senza rispondergli, chè in altro tenevalo occupato l’angustia e il dolore. Passò l’intera notte fra sì triste querele e piagnistei, e tornò poi a comparire il giorno, alla cui luce meglio conobbe Sancio essere impossibile l’uscire della caverna senza l’altrui aiuto. Cominciò a chiamare e a gridare, affinchè alcuno lo udisse, ma le sue voci e le sue grida erano mandate al deserto, chè non era anima viva in quei luoghi, sicchè nulla più occorse a persuaderlo che quello sarebbe il sito della sua sepoltura. Stava l’asino col muso volto all’insù, e Sancio tanto fece che lo rizzò, tuttochè appena potesse reggersi; e siccome le sue bisacce avevano corso la medesima buona fortuna della caduta, così potè cavar fuori un tozzo di pane che apprestò alla povera bestia. Le andava dicendo, come se avesse potuto capirlo: — Tutti i guai si possono sopportare, se il pane non manca.„

Intanto gli venne scoperta da un lato dell’antro una picciola buca, dove poteva entrare una persona chinandosi; e Sancio vi si accostò, e andando carpone vi entrò dentro. Al suo innoltrarsi vide che la buca era larga e lunga; e bene potè vederlo, perchè vi penetrava un benefico raggio di sole. Vide egualmente che la buca si dilatava in altre cavità spaziose, e contento di questa scoperta, tornò dov’era l’asino, e incominciò con un sasso a staccare la terra dal pertugio; e tanto insistè nel lavorio, che in poco tempo riuscì ad avere un luogo aperto da potervi cacciar dentro l’asino, come in fatti ve lo cacciò. Presolo poi per la cavezza, cominciò ad aggirarsi nella grotta per vedere se trovasse qualche escita, ed ora avanzavasi al buio, ora aveva qualche tenue scintilla di luce, ma sempre camminava con gran paura. — Misericordia di Dio! andava fra sè dicendo, questa che per conto mio è sventura, sarebbe ventura pel mio signor don Chisciotte! Egli terrebbe questi abissi e queste caverne per giardini fioriti, e vi ravviserebbe i palagi di Galiana, e giudicherebbe per certo di passare da questo buio e da queste strettezze ad un prato verde ed ameno: io all’opposto, senza consiglio e senza coraggio, temo ad ogni passo che sotto ai piedi mi si spalanchi altra grotta più profonda di questa, e di dover finire inghiottito: malanno ben venuto se arriverà solo!„

In tal guisa e fra tanti spasimi gli parve di aver fatto circa una