ho guadagnato; e voglio dire che sono entrato in questo governo pitocco, e pitocco ne vado, e che non mi accadde come a tanti altri governatori di altre isole che tornano a casa carichi di bottino. Vossignorie vadano pei fatti loro chè io vo pei fatti miei, ed ho bisogno di sollecitare a mettermi degli empiastri, perchè temo di avere le costole tutte rotte per colpa dei nemici che questa notte hanno passeggiato sopra la mia persona. — Così non dev’essere, signor governatore, disse il dottor Rezio; ed io somministrerò a vossignoria una bevanda contro le cadute e percosse, per cui ella riacquisterà il primitivo suo vigore e la salute: e quanto al mangiare prometto a lei di emendarmi, concedendole di cibarsi abbondantemente di tutto quello che le piacerà. — È troppo tardi, disse Sancio, e tanto è possibile ch’io non vada, quanto che diventi turco. Oh di queste burle non se ne fanno due volte, e giuro per la vita mia che non resterei in questo nè piglierei altro governo se pure me lo dessero tra due piatti: e ciò è tanto certo come è certo che non si può volare senz’ale. La razza dei Panza, signor dottore mio carissimo, sappiate che quando ha detto una volta no, vi persiste a dispetto di tutto il mondo: restino in questa stalla le ali della formica che mi sollevarono in aria, perchè le rondini ed altri uccelli mi avessero a mangiare, e torniamocene pure a camminare per terra a piede sciolto, chè se non sarò fornito di scarpe trinciate di cordovano, non saranno almeno per mancarmi mai quelle rozze di corda; ognuno coi suoi pari, e niuno distenda le gambe più di quello che è lungo il lenzuolo; e mi lascino andare chè oramai si fa tardi„. Il maggiordomo disse: — Signor governatore, noi volentieri la lasceremmo partire, benchè molto ci dolga il perderla, chè il suo ingegno ed il suo cristiano procedere ci lasceranno di lei un desiderio perpetuo; ma ognuno sa che tutti i governatori sono obbligati prima di lasciare il governo di sottoporsi ad un sindacato: ora vi si adatti vossignoria per questi dieci giorni che ha durato il suo reggimento, e poi se ne vada in santa pace. — Nessuno mi può comandare questa cosa, soggiunse Sancio, se non fosse il duca mio signore ch’è il solo padrone, ed io vo adesso a trovarlo, e a lui darò conto di tutto appuntino e senza difficoltà; perchè siccome me ne vo via ignudo così basterà questo a provare che ho governato da angelo.— Oh in fede mia, disse il dottore Rezio, che ha ragione il grande Sancio, ed io sono di avviso che lo lasciamo partire poichè il duca avrà molto contento nel rivederlo». Entrarono tutti in questo parere, e lo lasciarono andare offrendogli compagnia, e tutto quello che più gli piacesse sì per comodo della sua persona che per vitto nel viaggio. Sancio disse che non voleva altro,