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capitolo liii | 479 |
ma non fece altro che dare uno stramazzone in terra con tale precipizio che gli parve di essersi fatto in pezzi. Se ne restò come testuggine rinserrata dentro al suo nicchio, o come mezzo presciutto messo tra due strettoi, o come barca che dà a traverso nella rena. Ma non per questo ne sentì alcuna compassione quella gente burlona; che anzi smorzando le torce rinforzò ancora le grida, e reiterò l’allarme con sì gran furia, passando sul povero Sancio, e dando infiniti colpi sopra i suoi pavesi che s’egli non si fosse tutto raggomitolato e raggricchiato ficcando in giù la testa, sarebbe ita la cosa molto male per lui. Chiuso in quelle ristrettezze sudava e grondava, raccomandandosi a Dio che di tanto pericolo lo cavasse. Taluno inciampava in lui, altri cadeva, e tale vi fu che gli montò addosso, e di là, come da sentinella, dirigeva le squadre e sclamava: — Passino i nostri da questa parte, chè qua fanno forza maggiore i nemici; si difenda quello sportello, quella porta si chiuda, si sbarrino quelle scale, portino qua caroselle e palle infuocate, vengano caldaie con pece, ragia ed olio bollente, si alzino trincere di materassi per le strade.„ In fine passavansi in rassegna con ardore tutte le cose e gli stromenti e le munizioni da guerra colle quali si suole difendere una città dall’assalto. Il ben macinato Sancio, che ascoltava e sopportava ogni cosa, dicea tra sè stesso: — Oh piacesse a Dio che i nemici prendessero quest’isola, e che fossi o morto o tolto da tante angustie!„ Salì al cielo la sua preghiera; poichè quando meno se l’aspettava, udironsi voci che ripetevano: “Vittoria, vittoria! i nemici sono in piena rotta: si alzi pure, signor governatore, venga a gioire del trionfo, e a dividere le spoglie tolte al nemico mercè il valore del suo invincibile braccio„. — Mi alzino gli altri, disse Sancio con dogliosa voce: e aiutato a rizzarsi, quando fu in piedi disse: — Voglio che mi conficchino in fronte il nemico che ho superato, e non voglio io saperne di bottini dei nemici, e mi basta pregare e supplicare qualche amico, se pure ne ho alcuno, che mi dia un sorso di vino perchè muoio di sete, e che mi rasciughi questo sudore nel quale mi vado tutto stemperando„. Lo asciugarono, gli recarono del vino, gli slegarono i pavesi, passò a sedere sopra il suo letto, ma ivi svenne per la paura, per lo batticuore e per lo travaglio.
Rincresceva a tutti di avergliela fatta sì sonora; se non che il vedere poi Sancio tornato in sè, mitigò la pena che lo svenimento suo aveva cagionato. Chiese che ora fosse, e gli risposero che si avvicinava il giorno. Tacque, e senza soggiungere parola cominciò presto a vestirsi guardando il più rigoroso silenzio, e intanto stavano tutti osservando desiderosi di vedere dove anderebbe a finire