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capitolo lii | 471 |
pere ciò che gli fosse successo nel viaggio. Si affrettavano a interrogarlo; ma egli disse che non avrebbe potuto rispondere così in pubblico nè con brevi parole; e perciò che piacesse alle loro eccellenze di riserbarsi a privato colloquio, soddisfacendosi frattanto con quelle lettere. Due ne cavò fuori e le mise in mano alla duchessa. Aveva l’una questa soprascritta: “Lettera per la mia signora duchessa tale di non so dove;„ e l’altra: “A mio marito Sancio Panza governatore dell’isola Barattaria, che Dio prosperi più anni di me„. La duchessa non poteva stare alle mosse, come suol dirsi, per la impazienza di leggere la lettera a lei diretta, ed apertala, e gittatovi lo sguardo, e conosciuto che poteva leggerla ad alta voce perchè il duca e i circostanti la udissero, lo fece tosto. Ascoltiamola:
teresa panza alla duchessa di non so dove.
ran contento mi ha dato, signora duchessa, la lettera scrittami dalla vostra grandezza; chè posso veramente dire di averla desiderata per un gran pezzo di tempo. La filza dei coralli è bonissima, e il vestito da caccia di mio marito non lo è niente manco. Molto piacere ha provato tutto questo paese nel sentire che Sancio mio consorte sia stato fatto da vostra signoria governatore, sebbene non vi è alcuno che lo creda, e principalmente il curato e maestro Niccolò il barbiere, e Sansone Carrasco il baccelliere; ma a me non importa un fico secco, mentre purchè ciò sia vero, com’egli è, ciarli pure ognuno come gli pare: ma se ho da confessare la verità non lo avrei creduto io medesima se non avessi visto i coralli e il vestito. Perchè sappia vossignoria che in questo paese mio marito è tenuto da tutti per una bestia, e nessuno arriva a concepire che governo possa egli essere buono da sostenere, quando non è nato che per governare un branco di capre. Dio lo aiuti e lo incammini pel meglio de’ suoi figliuoli. Io, signora amatissima, sono risoluta con sua buona licenza di mettere questa notizia a profitto della famiglia e di passare a corte, e poi di andarmene lunga distesa in un cocchio per fare schizzar gli occhi ai mille invidiosi che tengo. Supplico intanto vostra eccellenza che ordini a mio marito che mi mandi dei danari, e che sia buona somma: perchè nella corte le spese sono grandi; chè il pane è tanto caro che vale un reale, e la carne trenta maravedis per libbra. Se poi non vuole che io venga me lo faccia sapere a tempo, mentre ho le brace sotto ai piedi per voglia di mettermi in viaggio, chè dicono le mie vicine che se io