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462 | don chisciotte |
per lo appunto come l’ha intesa il signor governatore, disse il messaggiere; nè quanto alla chiara e pienissima intelligenza del caso alcun dubbio si può avere, nè altro rimane a desiderarsi. — Dico dunque adesso, replicò Sancio, che quella parte di tal uomo che ha giurato la verità la lascino passare, e l’altra che ha mentito la facciano tosto impiccare, e in questo modo sarà litteralmente adempita la condizione del passaggio. — Oh questa è nuova, signor governatore degnissimo! replicò l’interrogante; a questo modo si dovrebbe dividere l’uomo in due parti, in bugiarda ed in vera: ma quando si dividesse egli dovrebbe per forza morire, e allora niente conseguirebbe di quello che la legge dimanda e ch’è di necessità che si adempia. — Sentite qua, signor buon uomo mio, rispose Sancio: questo passeggiero di cui parlate, o io sono un animale o egli tiene la stessa ragione per morire come per vivere e per passare il ponte: ora se la verità lo salva, la bugia lo condanna egualmente; ed essendo così la cosa, siccome è in fatti, io sono di opinione che andiate a dire ai signori dai quali siete mandato, che trovandosi in eguale bilancia e le ragioni di condannarlo e quelle di assolverlo, lo lascino passare liberamente; perchè è sempre meglio fare del bene che del male, e questa decisione ve la darei anche corroborata colla mia firma se sapessi scrivere. Sappiate poi che nel caso che ora mi avete esposto, io non ho parlato di mia testa, ma dietro i suggerimenti e i precetti datimi dal mio padrone il signor don Chisciotte la sera avanti che venissi governatore di quest’isola, poichè egli mi disse che quando la giustizia stesse in dubbio, io abbandonassi il rigore e mi appigliassi alla misericordia; ed è piaciuto a Dio che in questo momento me ne ricordassi, essendo nata occasione tale che la massima vi calza come dipinta. — Così è appunto, disse il maggiordomo, e quanto a me sono persuaso che lo stesso Licurgo legislatore dei Lacedemoni non avrebbe potuto dar sentenza più retta di quella che ha pronunziato il gran Sancio Panza: ma abbia fine la udienza di stamattina, ed intanto io disporrò le cose perchè il signor governatore possa pranzare a gusto e soddisfazione sua. — Questo è quello che desidero, replicò Sancio; e facciamo a non ingannare; e diluvino pure i casi ed i dubbii chè io saprò risolverli in un batter d’occhio„.
Il maggiordomo mantenne la sua parola, recandosi a carico di coscienza il far morire dalla fame un governatore tanto savio: massimamente che già si avvicinava l’ora di licenziarlo, mandando in quella sera medesima ad effetto l’ultima burla di cui avea egli ricevuto l’incarico. Ora avvenne che Sancio avendo mangiato in quel giorno contro alle regole ed agli aforismi del dottore Tiratinfuora,