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capitolo iii. 33

benedettini colla quistione del valoroso Biscaino. — Favorisca dirmi, Sancio soggiunse: si parla mai della ventura dei mulattieri ianguesi, quando il nostro buon Ronzinante s’invoglio di procacciarsi anche egli avventure? — Nulla, rispose Sansone, ha omesso quel savio: racconta ogni cosa con fedeltà, con esattezza, nè tacque neppure le capriole che fece il buon Sancio sulla coperta. — Io non ho fatto capriole sulla coperta, rispose Sancio, ma per aria, e furono più del bisogno. — A quanto mi figuro, disse don Chisciotte, non vi è storia al mondo che non abbia il suo pro e contra, quelle massimamente che trattano di cavalleria, le quali non possono essere sempre piene di fortunati avvenimenti. — Con tutto ciò, replicò il baccelliere, dicono alcuni che hanno letta la istoria, che avrebbero desiderato di vedere dall’autore poste in dimenticanza le bastonate infinite date in diversi incontri al signor don Chisciotte. — Queste sono verità, disse Sancio, e non potevano essere trascurate da chi racconta. — Poteano per altro tacerle per giustizia, disse don Chisciotte, perchè le azioni dalle quali non viene cangiata od alterata la storia, possono passarsi sotto silenzio quando tendano a mettere in discredito il protagonista: e per mia fede che non fu Enea sì pietoso come cel dipinge Virgilio, nè si prudente Ulisse come ci viene descritto da Omero. — Dice benissimo vossignoria, soggiunse Sansone; ma altro si è lo scrivere poeticamente, altro il farlo storicamente: è lecito al poeta raccontare o cantare le cose non già quali furono, ma quali avrebbero dovuto essere; mentre lo storico in vece ha da scriverle non già come avrebbero dovuto essere, ma quali realmente furono senz’alterare un punto solo la verità o con mutazioni o con aggiunte. — Se è obbligo che questo signor autore Moro racconti il vero, disse Sancio, egli è indubitato che dee fra le bastonate del mio padrone far menzione anche di quelle da me ricevute, mentre non furono a sua signoria macinate giammai le spalle senza che fosse pesto anche a me tutto il corpo: nè è da farsene maraviglia, perchè, come dice il medesimo mio padrone, le membra hanno da partecipare nel dolore della testa. — Tu sei un furbo, Sancio volpone, rispose don Chisciotte; e in verità che non ti manca memoria quando ti giova l’averla. — Se anche mi sforzassi, disse Sancio, a volermi dimenticare delle bastonate ricevute, non mel permetterebbero le lividure ancora fresche fresche sulle mie costole. — Taci, Sancio, don Chisciotte soggiunse, e non interrompere il signor baccelliere, chè io lo prego di seguitare a mettermi al fatto di tutto quello che di me si dice nella riferita mia istoria. — E di me ancora, disse Sancio, chè dicono che sono uno dei suoi principali personagli. — Personaggi (soggiunse Sansone) e non

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