Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
capitolo xlv | 411 |
miserabile e vigliacco: tanaglie, martelli, mazze e scarpelli non varranno a cavarmela dalle ugne e neppure artigli di leone; chè mi lascerò prima trarre l’anima dal corpo. — Ella ha ragione, soggiunse l’uomo, ed io mi do per vinto e privo di forze, e confesso che non basto a toglierle questa benedetta borsa, e mi converrà piegare il collo„. Allora disse il governatore a costei: — Mostrate qua, donna onorata e valorosa, cotesta borsa„. Gliela diede ella sul fatto, ed il governatore la consegnò all’uomo, e disse alla sforzata e non isforzata: — Sorella mia, se la costanza e il valore che avete mostrato per difendere questa borsa li aveste messi a campo, od anche la metà sola per difendere il vostro corpo, non lo avrebbero potuto oltraggiare le forze di Ercole. Andatene dunque con Dio e in mal punto, nè osate più comparire in quest’isola, nè manco per sei leghe all’intorno, sotto pena di dugento scudisciaie: toglietevi di qua sul momento, ripeto, sfacciata, sgualdrina, imbrogliatora„. S’impaurì la femmina, e se ne andò via col capo chino e malcontenta; ed il governatore disse a colui: — Buon uomo, andate con Dio al vostro paese coi vostri danari, e d’ora innanzi se non li volete perdere fatevi passare la voglia di ruzzar con chicchesia„. Lo ringraziò quell’uomo goffamente a suo modo, e se ne andò; ed i circostanti rimasero di nuovo maravigliati dei giudizii e delle sentenze del loro nuovo governatore.
Tutte queste cose furon notate dallo scrittore della cronica, e trasmesse al duca che con gran desiderio le stava aspettando. Resti ora quivi il buon Sancio chè grande è la fretta che ci dà il suo padrone già fuori di sè per le musica di Altisidora.