cio a un paese di mille fuochi in circa, ch’era uno dei migliori possedimenti del duca. Gli diedero ad intendere che chiamavasi l’isola Barattaria, o perchè il luogo dicevasi Barattario, o forse pel baratto che allora si faceva del suo governo. Alle porte del paese, ch’era cinto di mura, concorse ad accoglierlo tutta la comunità; si suonarono le campane; e gli abitatori tutti diedero segni di generale allegrezza. Con solenne pompa lo accompagnarono al duomo a rendere grazie a Dio; indi con ridicole cerimonie gli consegnarono le chiavi del paese, e lo accettarono per governatore perpetuo dell’isola Barattaria. L’abito, la barba, la grossezza e la piccola statura del nuovo governatore tenevano stupefatta la gente tutta cui era ignoto l’enigma del negozio; e stupivano anche i consapevoli di ogni cosa che non erano pochi. Uscito ch’è fu di chiesa, lo condussero alla sala del consiglio, e fattovelo sedere, il maggiordomo del duca gli disse: — È inveterato costume in quest’isola, signor governatore, che quegli che viene a prenderne possesso, sia obbligato di rispondere ad un quesito che gli viene fatto alquanto intralciato e difficile, dalla cui risposta il popolo piglia e tocca il polso dell’ingegno del nuovo suo governatore; e così o si rallegra o si rattrista della sua venuta„. Finchè il maggiordomo stava parlando a Sancio andava questi guardando certe grandi lettere ch’erano scritte nella parete dirimpetto alla sua sedia: e siccom’egli non sapea leggere così dimandò che cosa significassero quegli sgorbii, i quali si vedevano