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388 | don chisciotte |
ti ho fin qui insinuati: ed egli è che non ti accinga mai a disputare di prosapie, almeno facendo comparazioni fra loro, poichè dal confronto risulta che chi è posto nella bilancia e non ha il vantaggio, odia chi lo abbassa, e da chi egli innalza non ottiene alcun premio.
“Il tuo vestito sarà calza intera, casacca lunga, ferraiuolo alquanto largo, ma i calzoni neppure ti cadano in mente, chè sconvengono e ai cavalieri e ai governatori„.
“Ti ho detto, o Sancio, quanto mi è occorso alla memoria per consigliarti, e andando innanzi, ed a seconda delle occasioni, avrai da me altri insegnamenti purchè tu abbia cura di tenermi informato dell’essere tuo. — Vedo molto chiaramente, disse Sancio, che le cose dettemi da vossignoria sono buone, sante e di gran profitto; ma come potrò servirmene se a quest’ora mi sono scappate via tutte dalla memoria? Ma no, non è vero, chè mi restano quelle due, l’una di non lasciare crescere le ugne, l’altra di maritarmi un’altra volta se occorresse: fuori di queste gli altri imbrogli, intrighi e inviluppi tanto me li ricordo come i nugoli dell’anno scorso; e sarebbe necessario che li avessi in iscritto, chè quantunque io non sappia nè leggere nè scrivere, pure potrà consegnarli al mio confessore perchè all’occasione me li mettesse in testa, e me ne facesse la spiegazione. — Meschino di me! disse don Chisciotte, ah quanto mai sta male che i governatori non sappiano nè legger nè scrivere! Tu hai da imparare, o Sancio mio, chè di quell’uomo che non sa leggere od è mancino si arguisce una di queste due cose, o che sia figlio di genitori umili e abbietti, o che nella giovinezza fosse si traviato e cattivo da non lasciare che in lui avessero accesso le buone costumanze e le buone dottrine. Questo è un gran mancamento che tu hai, e vorrei che almanco tu per ora imparassi a firmare, cioè a sottoscriverti. — Il mio nome lo so fare di avanzo, disse Sancio, poichè quando era priore nel mio paese ho imparato a far certe strisce come quelle delle balle delle mercanzie, che significavano il mio nome, adesso, fingerò di aver storpiata la mano diritta, chè ad ogni cosa si rimedia fuorchè alla morte; ed avendo io il braccio e il comando farò a mia voglia: e tanto piò che a chi ha il padre giudice (e io che sono governatore sono più che giudice) non si fanno i conti addosso: a chi mi stuzzica e mi calunnia interverrà come ai pifferi di montagna, verrà per lana e tornerà tosato: a cui Dio vuol bene va a trovarlo in casa; le scioccherie del ricco corrono per sentenze nel mondo, ed essendo io ricco e governatore e liberale ancora, come ho divi-