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capitolo xl 365

per essere scudo e difesa del vituperato e afflitto genere matronesco, oggetto di abbominazione agli speziali, di mormorazione agli scudieri e di adulazione ai paggi; che male si abbia la trista, la quale nel fiore dell’età sua non si è fatta prima monaca che matrona. Ah sfortunate noi povere matrone, le quali ancorchè venissimo per linea retta di maschio in maschio dallo stesso Ettore troiano, non pertanto ci sarebbe dato del voi dalle nostre signore, come s’elle credessero che questo voi le facesse diventar regine! Oh gigante Malambruno, che quantunque incantatore sei veracissimo nelle tue promesse, mandaci ormai il senza pari Clavilegno, acciocchè abbia fine la nostra sventura; chè se viene il caldo, e sussistono tuttavia le nostre barbe, noi siamo perdute per sempre. Con sì gagliardo impeto proferì la Trifaldi queste parole che trasse le lagrime dagli occhi ai circostanti, ed intenerì Sancio pure, il quale propose in suo cuore di accompagnare il suo padrone fino alle ultime parti dell’orbe, se questo si rendesse indispensabile per levare via la lana da quei sembianti sì venerabili.