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capitolo xl 363

rispose la Dolorida, una in sella, l’altra in groppa, e queste tali persone sono di ordinario cavaliere e scudiere, quando non vi si aggiunga qualche rubata donzella. — Vorrei sapere, signora Dolorida, disse Sancio, il nome di questo cavallo. — Il nome, rispose Dolorida, non è quello del cavallo di Bellorofonte, che si chiamava Pegaso, nè quello del grande Alessandro, detto Bucefalo, nè quello del furioso Orlando, nomato Brigliadoro, nè meno Baiardo, che fu di Rinaldo di Montalbano, nè Frontino, ch’era quello di Ruggiero, nè Boote, nè Pirotoo, come affermano che si chiamino quelli del sole, nè tampoco Orelia, come il cavallo con cui lo sventurato Rodrigo, ultimo re de’ Goti, entrò in quella battaglia in cui perdè il regno e la vita. — Io scommetterei, disse Sancio, che non essendogli stato dato alcuno di quei famosi nomi che avete detti, meriterebbe quello di Ronzinante, cavallo del mio padrone che in quanto alla sua figura supera tutti i cavalli del mondo. — Così è, rispose la barbata contessa: ma però gli calzerebbe molto a proposito, Clavilegno l’aligero, sì per essere di legno quell’ordigno che porta in fronte, come per la leggerezza con cui cammina, e in conclusione anche quanto al nome potrebbe gareggiare col famoso Ronzinante. — Il nome per verità non mi dispiace, replicò Sancio, ma con che freno o con che cavezza si regge? — Dissi già, replicò la Trifaldi, che si regge col mezzo del biscadero, perchè il cavaliere girandolo dall’una o dall’altra parte lo fa camminar a sua voglia, o per aria o radendo e quasi spazzando la terra, o per quel mezzo a cui ognuno si attiene in tutte le cose ben ordinate. — Vorrei vederlo, rispose Sancio; ma l’immaginarsi ch’io abbia a starvi sopra o in sella o in groppa, egli sarebbe proprio cercar pere nell’olmo: io che posso appena reggermi sul mio leardo e sopra una bardella morbida come la seta, come mai potrei tenermi saldo su di una groppa di legno senza cuscinetto o guanciale? In somma sarebbe migliore spediente di non istare a impazzarsi a levare la barba a nessuno; e ognuno se la rada come più gli mette conto, chè io fo pensiero di non accompagnare punto nè poco il mio padrone in questo sì lungo viaggio: e tanto più che io non credo già di dover essere necessario allo sterminio di queste barbe come lo sono per disincantare la mia signora Dulcinea. — Sì che lo siete, amico mio, rispose la Trifaldi, e a segno tale da persuadermi che nulla si possa fare senza la vostra presenza. — Oh qui ne voglio un ruotolo, disse Sancio: e che hanno di comune gli scudieri con le venture dei loro padroni? e peggio; che la fama delle imprese condotte a termine fortunato torna sempre a loro profitto, e il travaglio sempre a carico nostro. Pazienza se almeno gli scrittori dicessero: “Il tale cavaliere compì la tale e