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24 | don chisciotte |
scudiere, a cui pare così certo il fatto dell’isola, che niuna cosa del mondo ne lo potrebbe disingannare. — Dio lo risani, disse il curato; noi intanto stiamcene ad osservare, e vedremo dove vada a parare questa macchina di spropositi di tal cavaliere e tale scudiere, che paiono stampati in una medesima forma; sicchè sembra che senza le balorderie del servitore non vagliano un’acca le pazzie del padrone. — Così è, disse il barbiere, ma io bramerei di saper i discorsi che terranno fra loro presentemente. — Io sono certo, rispose il curato, che la nipote e la serva ce li faranno sapere; chè non sono esse tali da tralasciar di appagare la loro curiosità„.
Frattanto don Chisciotte si rinchiuse con Sancio nel suo appartamento, e trovandosi tutti e due soli disse a Sancio: — Molto mi pesa che tu mi vai incolpando di averti tolto di casa tua per le mie peregrinazioni: noi siamo usciti insieme; scambievole fu la nostra colleganza e la nostra varia fortuna; una medesima mutabilità di vicende abbiamo corso egualmente: e se tu fosti una volta sbalzato in aria colla coperta, io cento volte fai bastonato; ed in ciò solo ho io avuta una parte maggiore della tua. — Quest’era ben di dovere, rispose Sancio, perchè a detta di vossignoria, vanno le sventure più attaccate ai cavalieri erranti che agli scudieri. — Tu sei in errore, Sancio mio, disse don Chisciotte: giusta il detto: Quando caput dolet.... — Non intendo altro linguaggio che il mio, replicò Sancio. — Ho voluto dire, soggiunse don Chisciotte, che quando duole la testa, dolgono anche tutti gli altri membri; e perciò essendo io il tuo padrone e signore, sono la tua testa, e tu parte di me per essere mio servidore; e perciò dèi provar dolore del mio male siccome debbo io sentirlo del tuo. — A questo modo, disse Sancio, la dovrebbe essere; ma quando io membro ero sbalzato in aria sulla coperta, stava la mia testa dietro le muraglie della corte vedendomi a volare senza provar dolore di sorta alcuna; e se sono obbligati i membri a dolersi del male della testa, era la testa in dovere di dolersi dei membri. — Vuoi forse con ciò inferire, o Sancio, disse don Chisciotte, che io non sentissi dolore in quel frangente? Se ciò tu credi, non dirlo nè pensarlo nemmeno, perchè io provava nello spirito maggiore tormento che tu nel corpo; ma lasciamo da parte questo discorso, chè verrà tempo di ponderarlo, e facciamoci a quello che importa più. Dimmi, amico Sancio: che si dice di me in questa terra? in che opinione mi tiene il volgo? che pensano di me gl’idalghi, e che i cavalieri? che dicono del mio valore? delle mie prodezze? della mia cortesia? che si discorre circa l’assunto da me preso di risuscitare e restituire nel mondo il già smarrito ordine di cavalleria? Bramo, o Sancio, che tu mi dica