per la stagione allora corrente, ch’era nel cuore della state. Era il cielo messo fosco, e ciò serviva moltissimo alle intenzioni dei duchi. All’imbrunirsi dunque della sera, e poco innanzi al crepuscolo parve ad un tratto che avvampasse il bosco da tutti quattro i lati, e quindi e quinci si udirono risuonare infiniti corni ed altri strumenti guerreschi, come se fossero molti distaccamenti di cavalleria che per lo bosco passasse. Il chiarore del fuoco ed il frastuono degli stromenti accecarono quasi gli occhi e intronarono gli orecchi non pure dei circostanti, ma sì bene di tutti quelli che nel bosco si trovavano. Si udirono poscia moltissime trombe di quelle che usano i Mori quando attaccano nelle battaglie, e si udirono trombette e clarinetti, e rimbombavano i tamburi e risonavano i pifferi quasi tutti a un punto ora interrottamente, ora in fretta, di maniera che avrebbero posta la confusione anche nel cervello il meglio ordinato. Il duca rimase attonito, la duchessa non meno di lui, don Chisciotte faceva le maraviglie, Sancio Panza era tutto tremante, e finalmente ne trasecolavano perfino coloro ch’erano ben consapevoli di che si trattasse. Sottentrò il silenzio al timore, quando passò loro dinanzi un postiglione in abito di demonio suonando, in vece di cornetta, un vôto e smisurato corno, da cui usciva un rombazzo rauco e spaventevole. — O là, fratel corriere, disse il duca, chi siete voi? dove andate? che