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capitolo xxxiv 319

a quello non confacenti. Sancio però si prese il suo proponendosi di venderlo alla prima occasione. Venuto dunque l’atteso giorno, don Chisciotte comparve armato con Sancio nuovamente vestito sul suo leardo (chè non lo avrebbe lasciato quand’anche avesse avuto un cavallo in iscambio), e si mise nella truppa dei cacciatori. Uscì la duchessa sfoggiatamente adorna, e don Chisciotte, come costumato e gentile, prese la briglia del suo palafreno, tuttochè il duca non volesse consentirvi, e così pervennero ad un bosco situato fra due altissime montagne. Occupati ivi con ordine i posti e le posate ed i sentieri che si erano fra loro assegnati, cominciò la caccia con grande fracasso e con grida e rumore di voci in maniera che l’uno non poteva udir l’altro sì pei latrati dei cani come pel frastuono delle cornette. Smontò la duchessa, e con acuto spiedo in mano si appostò dove sapeva che solevano passare i cinghiali. Smontarono pure il duca e don Chisciotte, e si misero al fianco di lei, e collocossi Sancio dietro a tutti senza discendere dal leardo, giacchè non osava abbandonarlo per timore che non gli succedesse qualche malanno. Avevano appena fermato il piede, e si erano messi in ala con molti servi, ed ecco cacciato dai cani ed inseguito dai cacciatori, videro venir alla volta loro uno smisurato cinghiale che digrignava i denti, stendeva le zanne, e gettava schiuma dalla bocca. Vista la fiera belva don Chisciotte andò tosto ad incontrarla collo scudo im-