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314 | don chisciotte |
E però ha gran ragione questo signore nel dire che vuol esser piuttosto contadino che re, per non diventare pasto di animali immondi„.
Non potè la duchessa ritenere le risa udendo la semplicità della sua matrona, nè lasciò di essere maravigliata delle ragioni e dei proverbii di Sancio, cui disse: — È già noto al buon Sancio che quando un cavaliere promette, procura, a costo anche della vita, di mandare ad effetto la sua parola. Il duca mio signore e consorte non è degli erranti, ma non lascia per questo di essere cavaliere, e così manterrà la fede dell’isola a dispetto della invidia e della malignità del mondo: stia Sancio di buon animo che quando meno lo penserà si vedrà posto nel seggio della sua isola e del suo stato, e prenderà le redini del suo governo con grande soddisfazione, salvo a cambiarlo con altra occupazione a suo grado qualora così gli talentasse. Quello che io gli raccomando, si è che badi bene come governerà i vassalli suoi, avvertendolo che sono tutti leali e bennati. — In quanto a questo di governarli bene, rispose Sancio, non occorre raccomandarmelo, chè io sono per natura caritativo, ed ho compassione dei poveretti, chè a chi cuoce ed impasta non manca il pane; e prometto per quello che sono che non vi sarà chi mi dia ad intendere una cosa per un’altra: io sono volpe vecchia, conosco gl’inganni, e so cacciarmi le mosche a suo tempo, nè soffro brutti musi davanti ai miei occhi, perchè so dove mi stringe la scarpa: e dico questo perchè i buoni ci guadagneranno meco, ed i tristi non ci metteranno nè piedi nè mani. In quanto al governare, tutto consiste nel cominciar bene; e potrebbe darsi che quntdici giorni dopo che sarò stato governatore, mi andasse a sangue il mestiere, e tanto da non poterlo lasciare, e che m’intendessi più di questo che delle cose di campagna nelle quali fui allevato. — Avete mille ragioni, o Sancio, disse la duchessa, perchè nessuno nasce maestro, e degli uomini si fanno i vescovi, non già delle pietre: ma tornando un poco all’intralasciato proposito risguardante l’incanto della signora Dulcinea, tengo per cosa certa e più che provata che quella vostra invenzione per burlare il padrone e fargli credere che la contadina era Dulcinea, e che solo da incantagione procedeva il non esser conosciuta da lui, sia stata tutta opera di alcuno degl’incantatori che perseguitano il signor don Chisciotte. Io so realmente e veracemente e da buona parte, che la villana che saltò sull’asina era ed è Dulcinea del Toboso, e che voi, o buon Sancio, credendovi ingannatore foste ingannato; e non è più da revocare in dubbio questa verità, mentre in riguardo alle cose da noi non vedute possiamo unicamente essere indotti in errore. Sappia il signor Sancio