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306 | don chisciotte |
parlando col dovuto rispetto, avrà un pugno così sodo che gli resterà incastrato nel capo; chè tali ceremonie e insaponamenti hanno più ciera di burle che di accoglienze ospitali„.
Era la duchessa per iscoppiare dalle risa vedendo la stizza e sentendo le parole di Sancio, ma non piacea granfatto a don Chisciotte di vederlo sì maltrattato con uno sciugatoio tanto sudicio e con tanti provvisionati di cucina all’intorno. Egli fece profondo inchino ai duchi, quasichè dimandasse loro licenza di parlare, e poi con tuono di gravità disse a quella marmaglia: — Olà, signori gentiluomini, si scostino le signorie loro da questo giovanotto, e tornino per dove sono venuti o per altra parte, se così loro piace, chè il mio scudiere è pulito quanto ogni altro, e queste loro scodelle non sono cose da lui. Colgano il consiglio mio, lo lascino andare chè nè egli nè io siamo indolenti alle burle„. Sancio gli cavò allora la parola di bocca e continuò a dire: — Venite, se vi dà il cuore, a tentar l’orso e vedrete di che io son capace: portate qua un pettine o altra cosa, e visitate la mia barba e se non sarà netta e pulita, io mi contento di esser tosato fin alla radice„.
Senza lasciar di ridere, soggiunse la duchessa: — Sancio Panza ha ragione in tutto quello che dice, e l’avrà in tutto quello che sarà per dire. Egli è bello e netto, e, come asserisce, non ha bisogno di altri lavamenti; e se non gli gradisce la costumanza nostra, pensici egli e tanto più che voi altri, ministri di pulitezza, avete operato con lentore e con trascuraggine, per non dir con ardire, recando a siffatto personaggio e a siffatta barba, in luogo di bacini e mescirobe di oro puro e sciugatoi alla damaschina, tanti trogoli di legno e stracci da credenza: siete voi tristi e malnati, nè potete fare a meno come malandrini, di covare odio, contro gli scudieri dei cavalieri erranti„. Gli allegri e beffatori servi, e lo scalco ancora, che era con loro, credettero che la duchessa parlasse da vero, e perciò levarono lo straccio di dosso a Sancio, e tutti confusi e quasi svergognati se ne partirono. Vedutosi Sancio libero da quello, a parer suo, sommo pericolo, si pose ginocchioni davanti alla duchessa e le disse: — Da cospicue dame cospicue grazie si aspettano: questa che oggi m’impartì la grandezza vostra non può essere da me pagata con manco che con desiderare di vedermi armato cavaliere errante per occuparmi in tutto il corso della mia vita al servigio di sì alta signora. Sancio Panza mi chiamo; sono contadino, ho figliuoli, e servo in qualità di scudiere; se con qualcuna di queste cose posso servire la vostra grandezza io starò molto meno ad obbedir che voi a comandare. — Sembra in verità, o Sancio, rispose la duchessa, che imparato abbiate ad essere cortese nella scuola della stessa cortesia, e voglio