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capitolo xxxii 303

dubitare alquanto dall’altezza del suo legnaggio„. Cui don Chisciotte rispose: — Signora mia, saprà la vostra grandezza che tutte o la più parte delle cose che mi accadono, escono dai termini ordinari di quelle che agli altri cavalieri erranti intravengono; o che così siano già incamminate dall’inalterabile volere dei fati, o che tali le produca la malizia di alcun incantatore invidioso. Vedesi tutto giorno che fra i cavalieri erranti pervenuti a celebrità vi ha chi fortunatamente è esente da incanti, e chi è tanto impenetrabile della persona da non potere rimanere giammai ferito. Di questi ultimi fu il famoso Rolando, uno dei dodici Pari di Francia, del quale raccontasi che non poteva essere offeso se non nella pianta del piè sinistro, e colla punta di grosso spilletto, nè mai con altre armi: e quindi allorquando Bernardo dal Carpio lo uccise in Roncisvalle, vedendo di non poter ferirlo colla spada, lo alzò da terra e lo soffocò fra le sue braccia, sovvenendosi di quella morte che diede Ercole ad Anteo, a quel feroce gigante che dicevasi figlio della Terra. Voglio inferire da quanto ho detto, che io potei forse ottener alcuna di tali grazie, non però andar esente da ferite, poichè mi ha più volte fatto conoscere la sperienza che io sono di carni dilicate e morbide, e non punto impenetrabili. Non posso salvarmi nemmeno dall’essere incantato, e già mi sono visto rinchiuso in una gabbia in cui l’intero mondo non avrebbe avuto possa di rinserrarmi senza la forza degl’incantamenti; ma giacchè ne sono uscito lìbero mi giova credere che altri non sia per arrecarmi nocumento. Sanno gli incantatori che colla mia persona non possono mettere a campo le loro astuzie, quindi si tolgono di me vendetta nelle cose che più mi son care, e attentano alla mia vita maltrattando quella di Dulcinea per cui vivo. Ora io credo che quando le venne fatta per mia parte dal mio scudiere l’imbasceria, l’abbiano trasformata in una contadina occupata in così vile esercizio come è quello di vagliar grano; ma mi creda, signora duchessa, che non era altramente grano, nè dell’ordinario, ma grani di perle orientali. In prova di tale verità, voglio dire alle Magnitudini Vostre come recandomi io poco fa nel Toboso non mi venne mai fatto di ritrovare i palagi di Dulcinea, e che mentre Sancio la vide l’altro dì nella sua stessa figura (ch’è la più bella dell’orbe), a me parve una villana zottica, brutta e di nessun garbo, quando pure debb’essere la leggiadria stessa in persona. Ora che non sono punto incantato, per regola di buon ragionare inferisco ch’ella è la incantata, la cambiata e ricambiata, la trasformata, e che in lei hanno voluto vendicarsi di me i miei nemici; e io vivrò per lei il più sconsolato uomo finchè restituita non sia alle primitive sue forme. Tutto questo ho detto perchè nessuno