che vengono a macinare il grano a questi mulini? — Basta, disse fra sè don Chisciotte: qua è lo stesso che predicare al deserto, chè non è da pensare che questa canaglia, per priego che le si faccia, s’induca al partito della virtù. Oh debbono in questa ventura essersi incontrati due valenti incantatori, uno dei quali distrugge quello che dall’altro si tenta! l’uno mi mise innanzi la barca e l’altro mi ha fatto naufragare: Dio sia quello che ci metta rimedio, chè altro non corrono a questo mondo se non se macchine e intrighi quali l’uno coll’altro contrastano. Qua non posso più fare nulla di bene; e alzando la voce continuò dicendo e tenendo l’occhio ai mulini: — Amici, chiunque voi siate che in questa prigione rinserrati vivete, perdonatemi se per mia e per vostra disgrazia non posso cavarvi dalla miseria, chè debb’essere ad altro cavaliere riserbata tanta ventura„. E in così dire si accordò coi pescatori, e sborsò per la barca cinquanta reali, che Sancio pagò di assai malavoglia dicendo: — Con altre due barcate simili a questa noi andremmo al fondo con tutto il capitale„. Stavano attoniti i pescatori, e mugnai, guardando le due brutte figure sì diverse dalla comune degli altri uomini, nè giugneano a comprendere a che fine don Chisciotte dicesse quelle parole e facesse quelle dimande. Avendoli però in conto di due pazzi li lasciarono andare alla buon’ora, e tornarono i mulinari ai mulini e i pescatori al loro posto. Tornarono alle loro bestie, e continuarono ad essere bestie don Chisciotte e Sancio; e questo fu il fine della ventura della Barca incantata.