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capitolo xxviii | 267 |
l’isola? Oh mi accorgo io bene che ti sei proposto di volermi consumare nel tuo salario tutto il danaro che tieni di mia ragione. Se questo è, e così ti piace, sia pur tutto tuo, chè te ne fo un dono e buon pro ti faccia, mentre per allontanare dal mio fianco così cattivo scudiere non mi dispiacerà di restare povero e senza un maravedis. Ma dimmi un poco, o prevaricatore degli ordini scuderili della errante cavalleria, dove hai tu veduto o letto mai che scudiere alcuno di cavaliere errante siasi accinto a contrastare col padrone per crediti di salario, e a dire: tanto voglio, tanto mi avete a dare il mese per la mia servitù? Metti, metti, malandrino e furfante e fantasima, chè ben ti sta ognuno di questi nomi, metti, ripeto, nel mare magnum delle nostre istorie il tuo dito, e se avviene che tu vi trovi per entro, che scudiere di questo mondo abbia detto o pensato quello che tu dicesti, mi contento che me lo conficchi nella fronte, e per giunta che tu mi faccia quattro castagne sigillate al viso. Tornati alla briglia od al capestro del tuo leardo, e vattene alla malora a casa tua, chè da ora in avanti non hai da restare con me un momento solo. Oh pane malconosciuto! oh malcollocate promesse! oh uomo che ha più della bestia che della persona! Ora, quando che io divisava di metterti al mondo e di farti un signore tale che a dispetto di tua moglie avessero a darti della signoria, tu ti togli licenza? Ora te ne vai, quando col più fermo ed efficace proposito io volea farti padrone della migliore isola della terra? Sì sì, è vero quello che tu stesso hai detto altre volte, che il mele non nonè fatto per la bocca dell’asino: tu sei asino, sarai asino e hai da finire asino quando finisca il corso della tua vita; chè quanto a me tengo che prima di arrivare all’ultimo termine avrai ad accorgerti ed a persuaderti bene che sei stato un animale„.
Sancio stava guardando fisso fisso il suo padrone intanto che ascoltava questi vituperi, ed in un attimo si compunse in modo che gli vennero le lagrime sugli occhi, e con voce dolente ed inferma gli disse: — Confesso, signor mio, che per essere asino dal capo ai piedi altro non mi manca fuorchè la coda. Se la signoria vostra me la vuole appiccare, io la terrò per bene aggiunta, e starò come giumento a servirla per tutto il resto della mia vita. Mi perdoni vossignoria, e compatisca la mia inesperienza: consideri che io sono ignorante, e che se parlo molto, ciò viene piuttosto da infermità che da malizia: ma chi falla e si emenda a Dio si raccomanda. — Avrei dovuto maravigliarmi, o Sancio, disse don Chisciotte, che nel tuo discorso tu non avessi immischiato qualche proverbio; ebbene, io ti perdono, a patto però che li emendi, e che quindi innanzi ti mostri bensì curante dell’interesse, ma che cerchi di rinfran-