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248 | don chisciotte |
sta la probabilità. Forsechè non si rappresentano quasi ogni giorno nei nostri teatri commedie zeppe d’improprietà e d’inverisimiglianze? ciò non ostante passano felicemente; e non pure ottengono plauso ma ben anche ammirazione e stupore. Tira pure innanzi ragazzo, e lascia dire chi vuole, mentre purchè si guadagni un po’ di danaro noi siamo soliti a vedere che importa poco il metter sulle scene più improprietà che non ha raggi il sole d’intorno a sè. — Oh questo è vero„ replicò don Chisciotte, e il ragazzo proseguì: — Osservino di grazia le signorie loro quanta e quanto bella cavalleria esce della città e va ad inseguire i due cattolici amanti; quante trombette che strepitano, quanti zufoli che suonano, quanti tamburi moreschi e cristiani che rimbombano! Io ho gran paura che non li raggiungano, e non li facciano tornare in corte strascinati a coda di cavallo, il che sarebbe orrendo spettacolo„.
Parve qui a don Chisciotte di vedere già i Mori, e di udire il grande rumore e lo strepitoso calpestio, e gli venne in mente di prestare il suo aiuto a quelli che fuggivano: quindi rizzatosi cominciò a dire ad alta voce: — Non consentirò mai che ai miei giorni e in presenza mia si facciano superchierie ad un cavaliere di così grande celebrità, ad un amante sì intraprendente com’è don Gaifero: fermatevi, date indietro, malnata canaglia, non lo inseguite; nè sieno i poveri amanti perseguitati, o ch’io vi disfido meco alla battaglia„. Detto e fatto egli sguainò la sua spada, di un salto si fece accosto al casotto, e con presta e mai più vista furia cominciò a menar fendenti e manrovesci sopra quei fanticcini moreschi, rovinando questo, lasciando senza testa quello, storpiandone uno,