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capitolo xxv 241

gie che vossignoria raccontava dell’accadutole nella grotta, e di non crederle vere nemmeno per la metà. — Agli effetti ci rivedremo, Sancio mio, rispose don Chisciotte, chè il tempo è lo scopritore di tutte le cose, nè alcuna resta che presto o tardi non esca fuori alla luce del sole, per quanto stiasi rinchiusa nelle viscere della terra: ma ciò basti per ora, e andiamo a veder il casotto del buon maestro Pietro, chè io penso che debba avere qualche cosa di nuovo. — Come qualche cosa? rispose maestro Pietro: sessantamila ne comprende questo mio casotto, ed assicuro la signoria vostra, mio signor don Chisciotte, ch’è uno dei più curiosi suggetti che abbia il mondo. Ma operibus credite et non verbis; e mano all’opera, chè si fa tardi, e abbiamo da fare e da dire e da mostrare assai„. Condiscesero don Chisciotte e Sancio, e si recarono là dove il casotto era collocato, già scoperto e illuminato d’ogni intorno con candelette di cera che lo rendeano vistoso e risplendente. Allora maestro Pietro vi si pose dentro, perch’egli era quello che dovea maneggiare le artifiziate figure, ed un ragazzo, suo servidore, se ne stette al di fuori per servire d’interprete e dichiaratore di tutte le maraviglie; e tenea in mano una bacchetta con cui indicava le figure che uscivano di tanto in tanto. Accomodatisi dunque quelli che trovavansi nell’osteria, e rimasti alcuni in piedi, e situati nel posto migliore don Chisciotte, Sancio, il paggio e il cugino, cominciò il ciarlatano a dire quello che udirà o leggerà, chi udirà o leggerà il seguente capitolo.