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capitolo xxiv | 223 |
ture che aveva lette nelle sue istorie. Intanto egli proseguì dicendo:
Fu maravigliato il giovane sì della temerità di Sancio come della sofferenza del suo padrone, e giudicò che la gioia di avere veduta la sua signora Dulcinea del Toboso, tuttochè incantata, renduto lo avesse sì tollerante come mostrava di essere. Se ciò non fosse stato, le parole e le ingiurie che dette le aveva Sancio, gli avrebbero meritato un centinaio di bastonate; perchè realmente ecceduto aveva nella sua audacia. Continuò a dire il giovane: — Io, signor don Chisciotte della Mancia, ho per bene impiegata la giornata passata con lei, avendo guadagnato quattro cose. La prima di avere conoscilo meglio vossignoria: il che ascrivo a mia grande felicità. La seconda di aver saputo che cosa si rinchiuda nella grotta di Montèsino con le metamorfosi di Guadiana e delle Lagune di Ruidera, che mi saranno utili per l’Ovidio spagnuolo che sto componendo. La terza d’intendere l’antichità delle carte: le quali dovettero usarsi al tempo dell’imperatore Carlomagno per lo meno, per quanto si può raccogliere dalle parole che fa credere vossignoria di avere udite da Durandarte, quando dopo quello spazio di tempo in che s’intertenne con Montèsino, egli si svegliò e disse: Pazienza e battiamo le carte: modo di esprimersi che non potè certamente apprenderlo quando era incantato, ma quando stava in Francia, vivente il riferito imperadore Carlomagno. Vedrassi patente questa mia spiegazione nell’altro libro che darò alla luce: Supplemento di Polidoro Vergilio della invenzione delle cose, il quale per quanto penso, si è dimenticato di parlare di tali carte; ma lo farò ben io, e riuscirà la erudizione di molto peso, potendo allegare un autore sì grave e sì veritiero come è stato il signor Durandarte. La quarta cosa è di avere avuta indubitata contezza della origine del fiume Guadiana, ignota finora a tutte genti. — Ha ragione vossignoria, disse don Chisciotte; ma io bramerei sapere (e così Dio le conceda di ottenere la licenza per la stampa dei suoi libri, del che dubito alquanto) a chi vorrà ella poi dedicarli? — In Ispagna, rispose il giovane, vi sono dei signori e dei grandi ai quali io li potrei indirizzare. — Non molti, rispose don Chisciotte: e non già perchè non meritino, ma perchè non li vogliono accettare per non obbligarsi a quella ricompensa che pare dovuta al lavoro ed alla valentia degli autori. Io per altro conosco un principe che può supplire alle mancanze degli altri con tanto vantaggio che se lo nominassi desterei la invidia in più di quattro generosi cuori: ma lasciamo questo a tempo più opportuno, e pensiamo intanto al luogo dove potremo ricovrarci nella notte ventura. — Non lungi di qua,