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capitolo xxi 193

e la rendi a me come a legittimo tuo sposo: chè non è dovere che tu adesso m’inganni o metta in campo finzioni con questo infelice, il quale con lealtà è sempre con te proceduto„. Nel proferir queste parole si sveniva in modo che gli astanti pensavano che ogni suo movimento fosse per torgli quel picciolo resto di vita. Chilteria tutta onesta e tutta vergognosa, presa colla sua destra quella di Basilio, gli disse: — Non potrebbe forza del mondo fare violenza alla mia volontà, e così con quella più libera che io ho, ti porgo la mano di sposa, e la tua ricevo se a me la dài di tuo libero arbitrio, e senza che te ne turbi o te ne distolga l’angustia in cui ti ritrovi. — Sì, te la do, rispose Basilio, non turbato o confuso ma con quella chiarezza di intelletto che ancora piace al cielo impartirmi, e qua io mi obbligo per tuo sposo. — Ed io per tua sposa, replicò Chilteria, o che tu viva per lunghi anni o che ti strappino dalle mie braccia per darti al sepolcro. — Fa un gran ciarlare quel moribondo, disse allora Sancio Panza: sarebbe meglio che lasciasse andar l’amore, e che pensasse all’anima sua, mentre, secondo il mio poco giudizio, la tiene piuttosto colla lingua che coi denti„.

Impalmati dunque com’erano Basilio e Chilteria, il piovano intenerito e commosso li benedisse, e impetrò pace dal cielo all’anima del novello sposo. Ricevuta ch’egli ebbe appena la benedizione,