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capitolo xviii 163

ch’egli è un pazzo bizzarro, e sarei ben da poco se tale non lo giudicassi„.

E qui ebbe fine il dialogo, e furono invitati alla mensa. Domandò don Diego a suo figlio quello che avesse cavato dell’ingegno dell’ospite. Egli allora rispose? — Nol trarrebbero dal vortice di sue pazzie quanti medici e buoni scrittori vi sono al mondo; è un pazzo che ha del savio, ed è pieno di lucidi intervalli„. Si assisero a tavola, e il pranzo fu come don Diego aveva detto nel viaggio che soleva apprestarlo agli amici: semplice, abbondante e saporito. Piacque soprattutto a don Chisciotte il mirabile silenzio che regnava in quell’abitazione, la quale rassomigliarsi poteva ad un convento di Certosini. Sparecchiata la tavola rese a Dio grazie, e data l’acqua alle mani, don Chisciotte pregò con viva istanza don Lorenzo che gli recitasse i versi della giostra letteraria. Cui rispos’egli: — Per non parere di quei poeti che negano di far sentire i loro versi a chi li prega, poi quando non sono pregati ce li vengono a far sentire per forza, dirò la mia glosa, composta non con pretensione di lode, ma soltanto per esercizio d’ingegno. — Un mio amico ed assennato uomo portava opinione, rispose don Chisciotte, che nessuno dovesse sudare in far glose ai versi, per la ragione, diceva egli, che la glosa non poteva mai valer il testo, e il più delle volte si scostava dall’intenzione e dal proposito di quello su cui essa cadeva. Diceva ancora che le leggi della glosa erano troppo limitate, perchè non ammettevano interrogazioni, nè dissedirò, nè far nomi dei verbi, nè cangiare senso, con altre legature e strettezze cui trovansi i glosatori obbligati, come vossignoria dee sapere molto bene. — Veramente, signor don Chisciotte, rispose don Lorenzo, io vorrei cogliervi in un mal latino, ma non ci riesco poichè mi guizzate di mano come un’anguilla. — Non comprendo, rispose don Chisciotte, quello che vuol dire vossignoria, nè che cosa s’intenda con questo guizzare. — Mi spiegherò a suo tempo, rispose don Lorenzo, e per ora presti attenzione la signoria vostra ai versi glosati ed alla glosa:

versi.

Se ’l mio fu tornasse all’è
     Senz’attendere il sarà,
     O venisse il tempo già
     Di quel ch’essere pur de’!

glosa.

Come tutto fugge via
     Fuggì ancor quel ben che un giorno