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capitolo xvii 155

fratello, a riattaccare le tue mule e continua il tuo viaggio; e tu Sancio, dàgli due scudi d’oro, uno per lui, uno pel custode dei leoni in premio di essersi qua trattenuti per conto mio. — Li darò volentieri, Sancio rispose; ma che n’è seguito dei leoni? sono morti o vivi?„ Allora il lionero raccontò per minuto e colle sue pause il fine della contesa, esagerando il meglio che seppe e potè il valore di don Chisciotte, della cui presenza intimorito il leone, nè volle nè osò uscire della gabbia, ad onta di averne lasciata per buona pezza aperta la porta. Aggiunse che dopo di aver detto al cavaliere che sarebbe un tentar Dio l’irritare di nuovo il leone perchè uscisse per forza, egli volea che pur venisse irritato, e che mal suo grado e in onta alla risoluta sua volontà, permesso avea che si tornasse a chiudere la gabbia. — Che te ne pare, mio caro Sancio? disse don Chisciotte: vi sono eglino incanti, che possano stare a petto della vera bravura? Potranno bene gl’incantatori togliermi la ventura, ma l’animo ed il valore? sarà impossibile„. Sancio sborsò gli scudi; il carrettiere attaccò le mule; il lionero baciò le mani a don Chisciotte per la ricevuta mercede, e gli promise di raccontare la seguita memorabile prodezza allo stesso re quando giugnesse a vederlo alla corte. — Se a caso, disse don Chisciotte, la Maestà sua dimandasse chi l’ha compita, gli direte che fu il cavaliere dei Leoni, mentre quind’innanzi intendo che in questo nome si cangi, converta e muti il soprannome che sin qui ho portato di cavaliere dalla Trista Figura: in ciò mi uniformo alla costumanza antica dei cavalieri erranti che si cangiavano i nomi quando voleano e quando loro tornava più il conto.

Il carro proseguì il suo cammino, e don Chisciotte, Sancio e quegli dal verde gabbano seguitarono il loro, nè quest’ultimo per lungo spazio di tempo aprì più bocca. Stavasene tutto intento ad osservare e notare i fatti e le parole di don Chisciotte, sembrandogli che foss’egli o un accorto pazzo o un pazzo che tirasse al savio. Non era ancora a sua cognizione la Prima Parte di questa istoria; chè se letta l’avesse, cessata tosto sarebbe la maraviglia che gli cagionavano i fatti e le parole, ed avrebbe saputo di qual genere di pazzia si trattava. Ora la sua ignoranza dei fatti precedenti tenevalo incerto nei suoi giudizii, e poneva mente ai discorsi uditi, ora giudiziosi, eleganti e bene espressi, ora spropositati, temerari e balordi. Egli dicea fra sè: “Che pazzia più grande può darsi del mettersi in testa la celata piena di ricotta, e dell’immaginarsi che gli incantatori gli avessero intenerita la testa? Quale maggiore temerità e irragionevolezza del voler combattere per forza contro ai leoni?„ Lo trasse don Chisciotte dal suo soliloquio dicendogli: — Chi mai