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capitolo xvi. 143

consuma le intere giornate a esaminare se bene o male in un tal verso dell’Iliade siasi spiegato Omero; se il tale epigramma di Marziale sia esente o no da disonestà; se abbiansi ad intendere in un modo piuttostochè in un altro i tali versi di Virgilio; in conclusione tutte le sue occupazioni si confinano nei riferiti poeti, e in altri ancora, come in Orazio, Persio, Giovenale e Tibullo, non facendo molto conto dei poeti moderni: ed a fronte del mal genio che mostra di avere per la romanzesca poesia volgare, si lambicca il cervello in fare una glosa a quattro versi che inviati gli vennero da Salamanca, e che credo sieno fatti per una giostra letteraria. A tutto questo don Chisciotte rispose: — Signore, i figli sono parte delle viscere dei loro genitori, e si hanno perciò ad amare, buoni o tristi che sieno, nella maniera stessa che si porta affetto a chi ci diede la vita. Debbono i padri sino dall’infanzia condurli sul sentiero della virtù, della civiltà e dei buoni e cristiani costumi, affinchè fatti grandi, sieno il bastone della vecchiaia dei genitori e la gloria della posterità. Quanto al costringerli ad applicarsi allo studio di una piuttosto che di un’altra scienza, io non giudico che questa sia cosa ben fatta, sebbene il consiglio non sarà mai dannoso; ma quando non si ha da studiare pro pane lucrando, quando sia fortunato lo studente per modo di aver genitori che a ciò non lo astringano, sarei di avviso che si lasciasse libero il corso a quella tra le scienze cui spiegasse maggiore inclinazione; ed abbenchè più dilettevole che utile sia lo studio della poesia, non è però tra quelli che rechino disonore a chi vi si esercita. La poesia, signor mio, è a mio parere come una tenera donzella di poca età e di bel costume, che si vuole arricchita, resa tersa, ed adorna da molte altre donzelle, le quali sono appunto le altre scienze tutte di cui dee valersi il poeta e con cui presidiarsi; non ha poi da essere tramenata questa giovanetta nè prostituita per le strade, per le piazze, nè pei cantoni dei gran palagi: essa è fatta di un’alchimia di tal virtù che chi saprà maneggiarla a dovere la convertirà in oro purissimo di inestimabile valore. Ora quell’uno che la possede ha da tenerla a freno, nè lasciarla mai trascorrere in turpi satire o in indegni componimenti; non ha da essere mai venale, se già non fosse destinata a poemi eroici, a dolenti tragedie o a commedie allegre od artifiziose; e non si dee lasciar maneggiare da’ buffoni o dal volgo ignorante, incapace di conoscere e di apprezzare i tesori che in essa si ascondono. Nè crediate, signor mio, che io per volgo m’intenda unicamente parlare della gente plebea ed abbietta; ma sia pur un signore od un principe, quando è ignorante sarà sempre una parte del volgo. Colui pertanto che coi requisiti che ho esposti trat-