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142 | don chisciotte. |
ma più mi diletta di convitarli io in casa mia, specialmente quella gente ch’è educata, di buon garbo e non misera. Odio la mormorazione, nè la soffro mai in mia presenza; non mi piace d’investigare i fatti altrui nè di osservarli con occhio di lince; ascolto ogni giorno la messa; fo parte coi poveri degli averi miei senza far vana mostra delle buone opere per non macchiare il mio cuore d’ipocrisia e di vanagloria (nemici che con piacevole insidia dominano spesso le anime men avvertite); e non lascio niun mezzo d’insinuare la pace dove regnasse la discordia. Ho Nostra Donna in particolar divozione, e confido sempre nella misericordia infinita di Dio Signore„.
Attentissimo stava Sancio alla narrazione di quel viaggiatore, sembrandogli buono e santo il suo sistema di vita, e che chi lo avesse adottato, avrebbe potuto arrivare a far miracoli. E perciò, smontato dal suo leardo, si affrettò a porsegli dalla parte diritta, e con devoto cuore, e quasi con lagrime gli baciò i piedi reiteratamente. Il viaggiatore gli dimandò allora: — Fratello, che state voi facendo? che significan questi baci? — Mi lasci fare, Sancio rispose, perchè vossignoria mi pare il primo santo della ginetta che io abbia veduto mai in tutto il corso della mia vita. — Non sono altrimenti un santo, rispose, ma dite piuttosto un peccatore indegno; tu sì, fratello, che devi essere buono per quella tua semplicità che dimostri„. Continuò Sancio nelle sue balordaggini per modo da promovere le risa nel suo padrone, e da trarlo da una profonda malinconia non senza causar maraviglia nel viaggiatore don Diego. Gli chiese don Chisciotte quanti figli avesse, e gli disse che una delle cose nelle quali riponeano il sommo bene gli antichi filosofi mancanti del conoscimento del vero supremo Essere era non già l’aver beni della natura e della fortuna, ma il possedere molti amici, e l’avere molti e buoni figliuoli. — Io, signor don Chisciotte, rispose don Diego, ho un figliuolo solo, e mi reputerei compiutamente felice se non ne avessi alcuno, e ciò vi dico non perch’egli sia un tristo, ma perchè non è fornito di quella intera bontà che io vorrei. Conterà intorno a diciott’anni: sei ne impiegò in Salamanca imparando le lingue greca e latina; e quando volli che passasse a studiare altre scienze, lo trovai così incapricciato nello studio della poesia (se pure essa merita il nome di scienza) che non m’è possibile condurlo ad applicarsi alle leggi a seconda del mio desiderio, e neppure a quello della regina delle scienze, la teologia. Era unico mio voto ch’egli coronasse con alti meriti l’onore del suo lignaggio, poichè viviamo in un secolo in cui s’impartisce dai nostri re largo premio alle virtuose e buone lettere, ma queste, se alla virtù non si accompagnino, diventano perle tra le sozzure. Egli