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capitolo xvi. 137

contrassegni che mi ha dati di casa mia, di mia moglie e de’ miei figliuoli non mi potevano venire da altri che da lui stesso in persona; il viso poi, levato il naso, era propriamente quello di Tommaso Zeziale, come l’ho veduto più volte nel mio paese e da vicino a casa mia, ed il tuono della voce era il suo. — Vien qua, caro Sancio mio, e ragioniamo un poco, disse don Chisciotte. Quale motivo mai avrebbe potuto indurre il baccelliere Carrasco a venire a tenzone con un cavaliere errante mio pari, armato di arme offensive e difensive? Sono stato io forse mai un suo nemico? gli ho data io mai occasione di odiarmi? sono io suo rivale, o fa egli la professione delle arme per invidiare la celebrità che mi fregia, ora che le tratto con tanta fortuna? — Ma come spiegheremo noi mai, replicò Sancio, la perfetta somiglianza di quel cavaliere, sia chi diavolo esser si voglia, col baccelliere Carrasco, e quella del suo scudiere con Tommaso Zeziale, mio compare? E se ciò è per incantesimo, come ha detto vossignoria, non v’erano due altri a cui poter somigliare? — È tutto artifizio e disegno, rispose don Chisciotte, dei maghi malefici dai quali sono perseguitato; e costoro prevedendo che io restare dovea vincitore nella zuffa, si accordarono a fare che il vinto cavaliere vestisse le sembianze del mio amico il baccelliere Carrasco, acciocchè l’amicizia che a lui mi stringe, si mettesse tra il filo della mia spada ed il rigore del mio braccio, raddolcisse il giusto risentimento del mio cuore, e a questo modo rimanesse la vita a colui che con cabale e falsità procurava di toglierla a me. E in prova di questo, tu sai pure, o Sancio, per quella sperienza che non ti lascerà mentire nè ingannare, quanto riesca facile agl’incantatori cambiar uno in altro sembiante, facendo di un brutto un bello, di un bello un brutto; mentre non sono ancora due giorni che cogli occhi tuoi propri osservasti la bellezza e la gagliardia della senza pari Dulcinea in tutta la pienezza delle naturali sue forme, ed a me toccò di vederla nella bruttezza e bassezza di una zotica contadina colle cateratte agli occhi, ed esalante un pessimo fiato dalla bocca. Appunto perchè il perverso incantatore osò di fare sì rea trasformazione, nulla vi è da stupire che abbia operato quella di Sansone Carrasco e l’altra del tuo compare, a fine di tormi la gloria di un bel trionfo: contuttociò mi consolo, perchè finalmente qualunque sia stata la figura che mi si presentò innanzi, è incontrastabile che io rimasi vincitore del mio nemico. — Dio, rispose Sancio, sa la verità di ogni cosa„. La coscienza gli diceva che la trasformazione di Dulcinea altro non era fuorchè un intrigo e artifizio suo; quindi non potevano persuaderlo le chimere del suo padrone; ma d’altra parte non doveva tirare in lungo