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capitolo xiv. | 131 |
volta vinto non fu, nè potè essere don Chisciotte della Mancia, ma un altro che lo somigliava, come io confesso e credo che voi, sebbene sembrate il baccelliere Sansone Carrasco, nol siate già, ma un altro che a lui somigli, e che i miei nemici vi facciano apparire tale perchè io trattenga e temperi l’impeto del mio sdegno, ed usi in modo assai mite la gloria del mio trionfo. — Confesso e credo, rispose il rinato cavaliere, ogni cosa, e credo e giudico e sento al modo stesso che da voi si crede, si giudica e si sente; ma intanto concedetemi, vi prego, ch’io possa alzarmi, se però potrò farlo dopo questa orribile stramazzata„. Lo aiutarono a levarsi don Chisciotte e Tommaso Zeziale scudiere, dal quale Sancio Panza non distoglieva mai gli occhi, e gli faceva mille dimande, e riceveva brevi risposte, ma pur tali da assicurarlo che veramente fosse quel Tommaso Zeziale che diceva di essere. Dopo tutto questo, l’apprensione di Sancio per le parole dette dal suo padrone, che gl’incantatori avessero trasformata la figura del cavaliere dagli Specchi in quella del baccelliere Carrasco, dubbia gli rendeva quella reale verità che co’ suoi propri occhi stava guardando. In fine restarono nel loro inganno padrone e servo; e quello dagli Specchi e il suo scudiere in valigia e colla testa rotta, se ne andarono con intenzione di cercarsi ricovero in qualche luogo per apprestare rimedio alle costole fracassate. Tornarono don Chisciotte e Sancio sulla strada di Saragozza, dove li lascia l’istoria per dare più minuto ragguaglio del cavaliere dagli Specchi e del suo nasuto scudiere.