Pagina:Don Chisciotte (Gamba-Ambrosoli) Vol.2.djvu/125


capitolo xiii 115

bosco verde. — Prego Dio, soggiunse Sancio, che per tornare a vedere la mia famigliuola mi cavi di peccato mortale, ch’è tutt’uno come cavarmi da questo pericoloso offizio di scudiere nel quale sono incappato per la seconda volta, allettato e vinto da una borsa di cento scudi che ho trovata un giorno nel bel mezzo di Sierra Morena. Anche adesso il diavolo mi mette dinanzi gli occhi un’altra borsa piena di dobloni, chè mi pare ad ogni poco di poter trovarla, abbracciarla e portarla a casa mia: e allora darò denari a censo, avrò rendite e vivrò come un principe. Per quel poco di tempo che io vo spendendo in questi pensieri mi diventano facili e sopportabili i travagli che patisco con questo mentecatto del mio padrone che ha più del pazzo che del cavaliere. — Per questo, rispose quello dal Bosco, si suol dire che il soverchio rompe il coperchio; e giacchè si tratta di cavalieri pazzi credo che non vi sia alcuno più pazzo del mio; perchè è di quelli che dicono: le brighe e i fastidi degli altri ammazzano l’asino. Oh prima che un cavaliere che ha perduto il giudizio lo ricuperi vi vuol ben altro! — È forse innamorato? dimandò Sancio. — Sì, disse quello dal Bosco, di una certa Calsidea di Vandalia la più crudele, ma la più compita signora che possa darsi nel mondo; ma non zoppica solo dal piede della crudeltà; chè ci cova qualche altro imbroglio..... Basta, se ne vedranno gli effetti. — Non v’è strada sì piana che non abbia i suoi intoppi, rispose Sancio: io credeva di esser solo a servire un pazzo, or veggo che la pazzia ha più clientele che la discrezione; ma se è vero il detto che ai miseri è un sollievo l’avere dei compagni nelle miserie, io posso consolarmi con vossignoria che serve un padrone tanto balordo quanto è il mio. — Balordo, ma valoroso, rispose quello dal Bosco, e più poco di buono che sciocco e imprudente. — Oh il mio non è così, rispose Sancio; e posso assicurarvi che non ha