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CAPITOLO XIII.


Seguita l’avventura del Cavaliere dal Bosco,
e si descrive il giudizioso, nuovo e soave colloquio seguito fra i due scudieri.



SS

tavansi appartati cavalieri e scudieri, questi raccontandosi i fatti loro, e quelli le loro amorose vicende. L’istoria ci dà prima il ragionamento seguito fra i servitori, e passa indi a quello dei padroni; e narra che, scostatisi alquanto, lo scudiere del cavaliere dal Bosco così disse a Sancio: — È pure una travagliata vita, signor mio, quella che noi passiamo vantando il bel titolo di scudieri dei cavalieri erranti! Ben si può dire con verità che noi mangiamo veramente il pane col sudore del nostro volto, ch’è una delle maledizioni fulminate da Dio contro i nostri primi padri. — Si può anche dire, soggiunse Sancio, che lo mangiamo col gelo dei nostri corpi; perchè chi è che patisca più caldo e più freddo dei miserabili scudieri della errante cavalleria? E manco male se almeno mangiassimo, perchè più tollerabili sono le disgrazie a corpo bene pasciuto; ma il peggio si è che passiamo talvolta uno e due giorni senza romper il digiuno, e dobbiamo contentarci di qualche boccone dell’aria che soffia. — Pazienza ancora per ciò, rispose quello dal Bosco, poichè possiamo sperare di esser compensati; mentre se non è sfortunato all’ultimo segno il cavaliere errante, al cui servizio lo scudiere si trova, avrà questi in guiderdone per lo meno il fortunato governo di qualche isola o di una contea di molta importanza.