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capitolo xiii 111

per avventura innamorato? — Lo sono per fatalità mia, rispose don Chisciotte, benchè i danni che ci derivano dai ben collocati affetti nostri debbano più propriamente chiamarsi favori che danni. — Questo è pur troppo vero, replicò quello dal Bosco, quando però non ci ottenebrassero alcuna volta la ragione e l’intelletto quegli sdegni che col moltiplicarsi vestono le sembianze della vendetta. — Giammai, rispose don Chisciotte, fui io sdegnato contro la mia signora. — Oh no certamente, soggiunse Sancio che gli era accanto, perchè la mia padrona è simile ad una piacevole asinella, e più morbida di un pane di burro. — È costui il vostro scudiere? domandò quello dal Bosco. — Per lo appunto, rispose don Chisciotte. — Non mi è mai più accaduto, replicò quello dal Bosco, di udire che lo scudiere abbia ardito di frammettersi nei ragionamenti del suo signore; ed il mio, che pur è qui grande e grosso, non osa mai di aprire bocca quando io favello. — Oh bella! disse Sancio; oh gran novità! ho parlato, posso parlare e non parlare davanti ad un altro tanto quanto...... tanto più la puzza quanto più......„ Lo scudiere del cavaliere dal Bosco prese allora Sancio per un braccio, e gli disse: — Andiamo, amico, noi altri due soli in un appartato luogo dove potremo discorrercela insieme scudierilmente, e lasciamo questi nostri padroni che si discervellino colle istorie dei loro amori, le quali scommetterei che non finiranno sino a dimani. — Andiamo alla buon’ora, disse Sancio, e racconterò a vossignoria chi sono io, e voi deciderete se io sono uomo da essere così posto in un fascio cogli scudieri ciarloni„. Si ritirarono amendue, e passo tra loro un ragionamento che riuscì tanto saporito quanto serio è stato quello dei loro padroni.